Abbazia Santissima Trinità, Cortona, 3 marzo 2020 Martedì della Prima Settimana di Quaresima
Letture: Isaia 55,10-11; Salmo 33; Mattero 6,7-15
Quattrocento anni fa, la sera del 3 marzo del 1620, Suor Veronica Laparelli, appena dopo aver ricevuto la benedizione della sua abbadessa, “placidamente, senza agonia, spirò, salendo l’Anima felice appoggiata al suo Diletto a godere del Regno preparato alle spose fedeli”, scrive il suo ben documentato biografo Don Filippo Maria Salvatori (Vita della Venerabile Veronica Laparelli, Roma 1779, p. 184).
L’ultima sua giornata, culmine della malattia che l’aveva resa dipendente da 14 mesi, l’aveva trascorsa “con le sue amate Sorelle”, ringraziandole, scusandosi degli incomodi arrecati, consolandole, animandole “con infuocate parole alla perfezione religiosa” e “promettendo d’aver di ciascuna distinta memoria in cielo” (ibidem).
È bella questa immagine di una morte monastica, cenobitica, benedettina- cistercense. Ricorda sia la morte di sant’Antonio abate che quella di san Benedetto, il quale, non per nulla, l’aveva visitata, come altri santi, poco tempo prima. Le Sorelle infermiere riuscirono infatti a farle riconoscere che fu favorita della presenza del “suo Padre S. Benedetto, dal quale sentissi riconoscere espressamente per figlia” (Salvatori, p. 183). Come non poteva morire come lui, se aveva vissuto sessant’anni seguendo il suo carisma!?
Ma la bellezza della Venerabile Veronica è soprattutto una bellezza sponsale, la bellezza della Sposa fedele che giunge al compimento delle nozze con lo Sposo celeste. La prova, per i testimoni dell’epoca, fu soprattutto la bellezza nuova che si rivelò sul suo volto. “Essendo ella di color olivastro, e di volto assai scontraffatto per le penitenze, vestì dopo morte un aspetto assai bello di color bianco e rosso con un’aria ridente, che fece tutti stupire” (Salvatori, p. 187).
E le monache continuavano ad aprire gli occhi della defunta, perché si mostrarono “più belli e più lucidi assai, che prima non fossero, mentre vivea (…) come due stelle lucenti” (pp. 186-187).
Il volto dei santi rivela, anche oltre la morte, la bellezza di chi contempla il Signore. Come ci invita il Salmo 33, che è il Salmo responsoriale di questa liturgia quaresimale: “Guardate a lui e sarete raggianti”. La bellezza di Veronica oltre la morte, e contro la morte, è descritta proprio come un irradiamento della sua gioia di contemplare lo Sposo. È un simbolo dell’irradiare di tutta una vita passata a cercare, incontrare, e desiderare sempre di nuovo e sempre di più il Volto di Dio riconosciuto nel volto incarnato del Figlio unigenito. La gioia del volto di Veronica è la sua gioia sponsale, è la gioia del suo abbraccio allo Sposo sempre cercato e desiderato. Ma immediatamente questa gioia irradia sugli altri, diventa stupore e letizia delle sue Sorelle e del popolo che accorre a congedarsi da questa vecchia amica, reclusa, eppure così presente alla vita, alle gioie e ai dolori del popolo di Dio, dei poveri e dei ricchi, degli umili e dei nobili, che per tanti decenni si sono rivolti a lei per un aiuto, una preghiera, una luce sul loro cammino e il loro destino. (…)
Non so se siamo sempre coscienti che ciò che deve risplendere in noi è il desiderio di Dio. Forse abbiamo più la tendenza a credere che il desiderio sia in noi come un’ombra, una notte in cui vaghiamo come ciechi. Invece, tutta la mistica cristiana ci insegna che il desiderio di Dio è un ardore, una fiamma, una fiamma che permette a Dio di poterci venire incontro. Il desiderio è la lampada accesa delle vergini sagge, e il suo olio è l’amore. Ed è anche una fiamma che illumina il popolo di Dio, che diventa proprio come le “stelle lucenti” che nella notte permettono di orientarsi, di raggiungere il porto della salvezza.
Quanto abbiamo bisogno, oggi come sempre e più che mai, nella confusione culturale e sociale in cui ci troviamo, e in cui spesso anche la Chiesa si viene a trovare, di persone il cui sguardo sia illuminato dal desiderio di Dio, perché sono queste persone che illuminano il cammino umano, che indicano la direzione ultima di tutta l’umana avventura, della storia, attraverso tutte le sue vicissitudini. È una luce pasquale che la morte non spegne, come vediamo nella Venerabile, e che rende così una vita segno luminoso che permane, a cui possiamo sempre guardare per trovare orientamento e quindi senso per la vita. E più siamo disorientati, più ci sentiamo nella nebbia e nel buio, e più dobbiamo tornare a guardare queste luci, riscoprendole sempre accese, sempre significative, e quindi attuali.
I mistici sono sempre attuali per questo. In loro, il desiderio di Cristo, Sposo crocifisso, permette al Signore di farci percepire anche oggi, anche in noi, la sua attrazione universale: “Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). I mistici come Suor Veronica Laparelli, più che ricordarci il desiderio del cuore umano verso l’Assoluto, desiderio che ogni filosofo o artista, anche pagano, può risvegliare, ci ricordano l’attrazione che l’Assoluto esercita costantemente sul nostro cuore, sul cuore di tutti.
(…)
Veronica aveva passato quasi tutta la sua vita a pregare, in una preghiera in cui non si distingueva il desiderio di unione a Dio e l’intercessione per la famiglia umana. (…)
È proprio questa preghiera che la Venerabile Veronica ha vissuto fino alla fine. “La maggior parte poi del tempo – scrive sempre il Salvatori – anche nel letto la spendea così, come poteva, in orazioni talora vocali e più spesso mentali; onde avvenne più volte, che all’entrare qualcuna per visitarla, la trovasse alienata da’ sensi, e rapita in estasi.” (p. 180).
Può sembrare un quadro agiografico abbastanza scontato e ornamentale. Ma subito dopo, il biografo viene brutalmente a descrivere la scena storica e politica sulla quale si stendeva, durante l’ultimo anno della sua vita e malattia, l’epiclesi della preghiera di Suor Veronica.
Val la pena ascoltarlo, perché è una carrellata di lotte, divisioni e miserie che sembra volutamente stridere con l’estasi beata di Veronica.
“Correva allora l’anno 1619, quando per la morte dell’Imperatore Mattias accaduta in Marzo fu molto la pace della Chiesa turbata, nella Germania specialmente a motivo della ribellione formata dai Boemi, la quale dietro si trasse la sollevazione ancora de’ Protestanti della Slesia, della Moravia, dell’Ungheria, e dell’Asia Superiore. I Boemi (…) giunsero al grande attentato di dichiarare (…) [l’Imperatore] Ferdinando decaduto da ogni diritto su di quel Regno, e per loro Re proclamarono Federico Elettor Palatino, eretico già abbastanza noto.” (p. 181)
Di fronte a tanto sconcerto, il Papa Paolo V indisse digiuni e orazioni pubbliche, e proclamò nel gennaio del 1620 “un Giubbileo amplissimo” (p.181), esteso a tutti i paesi cattolici. Ogni Vescovo doveva stabile i tempi e i modi per commutare le opere giubilari richieste adattandole alle “Comunità Religiose del sesso donnesco e ad altre persone impedite” (p. 181).
Fu così che Veronica visse gli ultimissimi mesi della sua vita unendosi col desiderio e tramite i tesori di grazia del Giubileo al corso drammatico e tragico del mondo. E fu proprio partecipando con grande fatica in chiesa con le sue Sorelle alla Messa giubilare che il Vescovo venne a celebrare in questo monastero che la Venerabile fece l’offerta suprema della sua vita. “Nel farsi l’elevazione dell’Ostia e del Calice consecrato l’udirono ripetere sotto voce tre volte: Signore, se è in salute dell’anima mia, e se vi piace, tiratemi a voi.” (p. 182)
Sulla soglia della morte, Veronica rinnova il Suscipe me, Domine della Professione monastica, tre volte come nel rito stabilito da san Benedetto (cfr. RB 58,21-22). Ma lo fa come sull’orlo dell’abisso della tragedia del mondo affinché il suo essere attratta al Signore sia offerta per il mondo intero, per la Chiesa, per la pace e l’unità di una società in pieno disfacimento.
Forse è proprio in questo che la nostra Venerabile è più attuale che mai. Il mondo è molto cambiato dai tempi di Veronica, ma le sofferenze, le ansie e le confusioni sono in fondo sempre le stesse.
“Signore, se è in salute dell’anima mia, e se vi piace, tiratemi a voi!”
Non è necessario morire per vivere questa offerta, questa consacrazione alla volontà e all’attrazione di Cristo in favore dell’umanità, per trasmettere al mondo la ricchezza di grazia che la Chiesa è chiamata a dispensare. L’offerta è già tutto, soprattutto se arde di amore per Dio e per l’umanità. (…)
Anche ogni persona è una parola di Dio con la missione di fecondare di bene la terra. I santi tornano a Dio avendola compiuta, insegnandoci a compierla, e soprattutto pregando perché si compia in noi e in tutti il desiderio del Padre buono.
Mauro-Giuseppe Lepori
Abate Generale OCist*
* Omelia tratta dal sito http://www.ocist.org
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