Intervista di sr. Monica della Volpe a sr. Mariangela Santucci
(2^ parte)
Domanda – Suor Mariangela, riprendiamo la nostra non facile conversazione. Abbiamo parlato l’ultima volta di una applicazione di Cor orans non utile al bene delle Comunità
Risposta – Naturalmente non si può generalizzare. Capita, non sempre, tuttavia troppo spesso.
D – Si considerava la responsabilità delle Presidenti …
R – Sì, ovviamente non solo. La responsabilità generalizzata di una situazione che possiamo definire molto grave, dobbiamo assumercela tutti. Prima di tutto noi monache contemplative, ovvero le Comunità; alla fine tutta questa persecuzione (perdonatemi il termine, a volte mi pare quello più esatto) è un forte richiamo alla conversione. L’abbiamo chiamato aggiornamento, l’abbiamo chiamato rinnovamento, lo chiamiamo rivitalizzazione … tutti termini troppo deboli. Evidentemente siamo proprio chiamate a una vera riforma; che però, con buona pace di chi vorrebbe programmarla dal di fuori, verrà solo se nascerà dal di dentro, dalla necessaria e indispensabile conversione del cuore. Il triste volto del Cristo sulla copertina del nostro documento, Cor Orans, che ormai ci è divenuto inguardabile, ci ricorda la vastità e la profondità di questo baratro da cui tutti dobbiamo uscire. Ciascuno a suo modo.
D – Provi a specificare meglio.
R – Non intendo dire che sono le Comunità prese di mira che debbono convertirsi e riformarsi; a volte sì, più spesso sono quelle o quelli che le prendono di mira; ma è qualcosa che ci riguarda tutti.
Rispetto a Cor Orans, resto convinta che avvantaggiate sono le Comunità che hanno seguito subito questo appello alla riforma, da quando Pio XII ci ha chiamate a federarci o congregarci per poter rispondere alle sfide dei tempi. Chi ha ascoltato, ha percorso un lungo cammino. Le Congregazioni (o Federazioni) hanno imparato a funzionare per il bene dei monasteri aggregati, le Presidenti hanno potuto fare esperienza in tempi meno duri di questi, talvolta sono state aiutate da religiosi e prelati più disponibili e più sensibili, la sensibilità nei confronti della Vita Consacrata era più forte.
D – In ogni caso, sono tanti i monasteri che sono stati colti impreparati e sprovveduti dalla bufera.
R – Indubbiamente, e anche per loro responsabilità. Il nostro amico Padre Paciolla per anni si è sgolato richiamandoci alla necessità di unirci per fare un cammino, il più spesso invano.
D – E poi ha scritto la Cor Orans
R – Sì, ma non tutta e non solo lui! E in ogni caso non credo proprio che sia stato lui a programmare la bufera.
D – Ma è stata programmata da qualcuno?
R – Oh, ne sono certa. Non so da chi … era ancora il pontificato di Benedetto XVI, e siamo tutti certi dal suo amore pieno di rispetto per la vita monastica e contemplativa. In ogni caso, nell’autunno forse del 2010 o 2011, le Presidenti di congregazioni monastiche di Italia e Spagna furono convocate a Roma, in Dicastero. Ci rallegrammo molto, nella speranza che si volesse predisporre qualcosa per aiutare il famoso rinnovamento in vista di una rivitalizzazione. In realtà era stata preparata una conferenza a base di statistiche da un monaco sociologo, il quale ci “dimostrò” come i monasteri fossero in eccedenza e in un breve giro di anni andassero drasticamente diminuiti.
D – Chi presiedeva questo incontro?
R – L’ Arcivescovo Gianfranco Agostino Gardin, segretario. Ricordo la gelida freddezza con la quale rintuzzò un tentativo di intervento a favore del possibile recupero dei monasteri. Eravamo state convocate allo scopo di ascoltare la conferenza, gli interventi dovevano allinearsi. Al pomeriggio era prevista per le Reverende Madri una bella passeggiata turistica per Roma, ovviamente preferii tornarmene a casa.
D – Una iniziativa per la valorizzazione della donna nella Vita Consacrata …
R – Appunto. Pian piano, è seguito tutto quello che conosciamo.
D – L’altra volta si è parlato delle procedure troppo sbrigative per la chiusura e dell’accento messo sui beni. Penso che le due cose siano collegate?
R – Certamente, anche se c’è di più. Io non riesco a pensare che una programmazione di riduzione drastica (rispetto ai metodi precedenti, molto più radicale) delle comunità contemplative possa venire solo da uno sguardo sui beni; certamente anche, e certamente in alcune federazioni ci sono le persone adatte per attuare una operazione di questo tipo. Ma questo non può nascere dal cuore della chiesa nostra madre. Nasce piuttosto da venti di dubbio, di sfiducia, che la percorrono.
D – Mi può spiegare meglio cosa intende per dubbio e sfiducia?
R – Una minor stima del valore della preghiera, liturgica e personale, di una comunità monastica, quello che da sempre la Tradizione ha considerato al cuore della vita ecclesiale. Una minor stima del valore della consacrazione, dell’offerta di una vita intera nel sacrificio di Cristo e nel suo sacerdozio per il mondo. Una minor stima per il carisma della verginità consacrata; non vi si crede più, non la si vuole più possibile, non se ne può neppure più sentire parlare. Perché? Perché dà tanto fastidio?
D – Perché? Tutto questo ha a che vedere con il problema degli abusi?
R – Di questo, se vuole, parleremo un’altra volta. Qui vorrei sottolineare come la bufera, o persecuzione, che di fatto il Signore permette contro di noi, ha prima di tutto il valore di un richiamo. La debolezza generale è al livello della fede. Se chi chiude monasteri non crede più nella vita consacrata in quanto tale, noi stesse non vi abbiamo creduto abbastanza. La conseguenza è stata un mancato rinnovamento, una scarsa vitalità; un troppo fiacco lavoro su quelli che erano i nostri tesori spirituali e culturali, che andavano rielaborati per renderli fruibili alle generazioni presenti. Ci siamo a volte lasciati sedurre dagli strumenti resi disponibili dalla società di oggi, con scarso discernimento. Ci siamo illuse, per esempio, che tutti i problemi più scottanti dell’umanità in subbuglio potessero essere comodamente risolti al di fuori, dallo psicologo. Ma se le soluzioni che offriamo sono quelle del mondo, sono quelle di tutti, perché venire a cercarle in monastero?
D – Eppure il monastero ha, sia pure un po’ nascosto, quello che l’uomo da sempre cerca, il segreto, il senso della vita. I monasteri, i santuari, sono luoghi che attirano tutti quelli che si interrogano, se sono luoghi dove l’ispirazione che li ha originati ancora può risplendere, molto più che nelle istituzioni spesso soffocate dal fare.
R – Si tratta di non lasciarsi trascinare dallo scoraggiamento comune. Si tratta di ricominciare, sia a credere, sia a lavorare. Si tratta di credere nei nostri strumenti di sempre, la preghiera e la preghiera liturgica, puntando su una lectio che ci renda capaci di interiorizzare, rielaborare, vivere ogni cosa al meglio. Si tratta di credere in noi stesse, nel valore della nostra offerta, dunque della fatica che facciamo, essendo disponibili a farne di più; si tratta di credere nelle vocazioni che Dio ci manda, anche se deboli, anche se faticose, si tratta di ascoltarle chiedendoci cosa Dio vuole dirci attraverso di loro. Si tratta di comprendere cosa voglia dire per noi l’invito che la chiesa oggi ci rivolge all’uscita e all’accoglienza: apriamo gli occhi, guardiamo le folle di nuovi poveri che vengono a noi portandoci il fardello dei loro dolori, dubbi, speranze. Apriamo il cuore all’ascolto, questo bene che nella società di oggi così poco si può trovare. Se offriamo uno spazio di silenzio e di ascolto, se offriamo una parola vera, molti vengono per nutrire o per guarire il loro spirito.
D – Si tratta anche di testimoniare tutto questo a chi dice di volerci espropriare dei nostri edifici per darli ai poveri – il che normalmente si rivela non vero.
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