di Padre Benedetto Doni, O.Cist.
Non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca, un passaggio e una trasformazione radicale, accelerata, complessiva. A livello culturale, sociale, religioso … insomma a tutti i livelli. La vita monastica, pur nella sua relativa distanza dal mondo, è inevitabilmente coinvolta in questa trasformazione, è porosa ad essa, soprattutto nelle nuove generazioni. Allora ci domandiamo: cosa essa ha da dire e da dare a questo tempo? Qual è la sua profezia oggi? E quali sono in questo tempo le sue sfide maggiori?
La vita monastica custodisce alcune dimensioni del vivere che risultano particolarmente preziose oggi: ad es. di fronte al dominio crescente del virtuale, dell’iper-informazione, dell’apparire, del consumo e della frenesia, essa custodisce nella sobrietà (o essenzialità come si preferisce dire oggi) la semplicità del contatto quotidiano con la realtà della natura, delle cose, delle persone, con il ritmo del tempo nei giorni e nelle stagioni, e soprattutto con l’interiorità, con il cuore, in un mondo sempre più alienato nell’esteriorità. Questo contatto con la realtà e con la propria interiorità, umanizza la vita, la pacifica, la unifica, di fronte alla minaccia di “disintegrazione” nella vita di oggi. Un’altra dimensione importante di fronte all’odierno appiattimento sull’immediato, sull’emotivo e sul materiale, è la dimensione simbolica, anzi il dinamismo simbolico dei gesti, dei riti, degli oggetti, delle parole e del canto, dell’abito e dei movimenti, degli spazi e del tempo. Questa dimensione simbolica, vissuta quotidianamente come una liturgia e una danza, tiene aperta la persona e la vita al significato e ai fini del vivere, alla bellezza, ai beni e ai valori trascendenti, tiene viva la motivazione e lo scopo, l’armonia della terra col cielo, della materia con lo spirito, delle cose con il loro senso, custodendo e promuovendo l’armonia delle persone e delle loro diversità.
Quest’ultima è la grande sfida per la vita monastica cenobitica: proprio per vivere questa armonia nelle diversità, occorre puntare sulla qualità delle relazioni, sulla loro autenticità. Anni fa un articolo dell’abate primate benedettino Notker Wolf rimetteva al centro la questione della comunicazione in monastero, dove il rischio è che i ruoli e i servizi, le differenze e le tensioni, generino dei compartimenti stagni, una certa distanza, o freddezza, o indifferenza, o isolamento, se non una certa rivalità e antagonismo giudicante, che sfocia nell’inimicizia. Ma tutto questo è appunto ciò che regna nella società, con il suo sfrenato e dilagante individualismo. Per cui la grande sfida per la comunità monastica è generare e tenere vive relazioni vere, semplici, rispettose, aperte, empatiche, partecipi gli uni degli altri. Io le chiamo relazioni di alleanza, dove io sono per te e tu per me, non contro o senza l’altro, ma con e per l’altro. Avere e prendere a cuore, sinceramente e fattivamente, il bene dell’altro, guardarlo, ascoltarlo, apprezzarlo, incoraggiarlo sempre, fare gioco di squadra, camminare in cordata, remare non contro, ma sempre con e a favore dell’altro … sembrano tutte cose ovvie, ma non lo sono.
Si tratta di prendere sul serio, in modo vivo e nuovo, più centrato su relazioni libere, autentiche, rispettose, semplici, non troppo soffocate e condizionate dalle strutture e dai ruoli, dall’autorità e dalle osservanze, la proposta di fraternità e di comunità custodita e trasmessa dalla Regola di San Benedetto. In essa la fraternità non è solo l’alveo e il quadro in cui viene vissuta la vita cristiana, ma è essa stessa realizzazione e forma di questa vita, sua dimensione costitutiva. Il contesto vitale delle relazioni fraterne è quello della comunità che nella Regola di San Benedetto si caratterizza quale organismo vivente e articolato, dinamico e attivo, fondato sulla Parola di Dio messa in pratica nel servizio di Dio e dei fratelli (scuola: RB Prol 45); comunità pratica di vita, di lavoro, di buone opere (officina: RB 4,78); luogo di ricerca di Dio e di apertura a lui (chiostro: RB 4,78); in cui Dio dimora con gli uomini e gli uomini con Dio e in cui regna pace e saggezza (casa di Dio: RB 53,22); soggetto plurale che si costruisce, si struttura e avanza insieme (capitolo: RB 3); comunità di discepoli condotta dal buon pastore, Cristo, che l’abate deve imitare (gregge docile: RB 2,7.32; 63,2). La comunità monastica, immagine particolare della Chiesa, vive dunque una profonda unità che è concreta perché fatta di condivisione di vita (di tempo, spazio, preghiera, lettura, mensa, beni, lavoro …); solida perché fondata su Cristo; dinamica perché tesa verso lo stesso scopo, il regno di Dio e la vita eterna, attraverso uno stesso cammino tracciato dalla regola e guidato dall’abate; plurale perché costituita dalla grande diversità dei fratelli, dei ruoli e dei doni di ciascuno; vitale e attiva perché alimentata dalla partecipazione di tutti al suo cammino e al suo dinamismo di comunione e di condivisione.
La linfa vitale che scorre in quest’organismo della comunità e il vincolo che lo mantiene ben compaginato e connesso integrando la diversità nell’unità, è la carità fraterna che i monaci vivranno castamente tra loro (RB 72,8), una carità casta nel senso di libera e trasparente, gratuita e disinteressata, scevra da ogni logica carnale, cioè egoistica, di preferenze, giudizi, dominio, invidie, gelosie. Questa carità si vive nella dinamica della fraternità che esprime la coscienza dell’interdipendenza fondata sull’essere in Cristo membra gli uni degli altri (Rm 12,5): co-appartenenza vitale e dinamica, ricettiva e attiva, a uno stesso corpo, che nella vita monastica si scopre e si sperimenta molto concretamente. Questo senso di interdipendenza si vive in concreto nella reciprocità dell’obbedirsi, cioè dell’accettarsi e ascoltarsi l’un l’altro per sapersi ricevere l’uno dall’altro, nel servirsi l’un l’altro cercando il bene e l’utilità altrui prima e più che la propria, nell’onorarsi l’un l’altro riconoscendo e rispettando l’infinito valore e dignità di ciascuno, e nel sostenere i pesi delle infermità fisiche e morali gli uni degli altri (RB 72). Accanto a questa reciprocità, la fraternità si vive e si esprime anche nella “responsorialità” – bene espressa dal canto dei salmi a cori alterni – della relazione interpersonale condivisa e dialogale, che suppone dei soggetti autonomi che si ascoltano e si rispondono cercando un accordo e un’armonia corale.
Questa capacità di ascolto e di dialogo tra soggetti diversi per incarnare il Vangelo nella singolarità e nella complessità del reale e del cammino delle persone, delle comunità e della società, è alla base dell’istanza di sinodalità che oggi sta emergendo sempre di più. Questo stile o forma sinodale della Chiesa e della vita cristiana sviluppa la spiritualità di comunione e di popolo in cammino del Concilio Vaticano II che forse aspetta ancora di incarnarsi di più nelle nostre comunità[1]. A questo proposito può aiutare ad avanzare l’idea di mistica della fraternità proposta da Papa Francesco in Evangelium Gaudium (EG 87; 92): non basta infatti un approccio dottrinale e morale per far crescere lo stile sinodale e il senso di comunione, ma è necessario uno sguardo e una tensione mistico-contemplativa che affini la capacità di percezione dell’altro, del reale e delle sue sfide, per discernere insieme la presenza di Dio nel suo popolo e nel suo cammino nella storia con gli uomini. Solo questa percezione mistica della carne e della singolarità dell’altro, basata su una cultura dell’incontro personale e di popolo nel contatto della gestualità corporeo-spirituale, può dare spessore a quella fraternità che può promuovere e animare la forma sinodale della Chiesa e la sua apertura al mondo[2]. La vita fraterna come uscita da sé verso l’altro per incontrarlo veramente, nella semplicità di relazioni autentiche – libere, rispettose, franche – di alleanza, per condividere ciò che si è e camminare insieme, può diventare così non solo realizzazione della vita cristiana, ma anche sua testimonianza e fonte irradiante. È ciò che si vive e si sperimenta abitualmente nella comunità monastica e nella sua accoglienza degli ospiti per condividere con essi qualcosa della propria vita: la vita fraterna parla, attira, mette in moto processi e coinvolge in un dinamismo di comunione e di ricerca nel dialogo e nel discernimento.
Tutto questo però deve mettere sempre di più al centro la persona, il rispetto, l’ascolto, la promozione e il fiorire della persona, attraverso relazioni sempre più autentiche, cioè – lo ripetiamo – libere, rispettose, franche, fraterne, di alleanza, in cui ognuno non solo può restare ed esprimere veramente se stesso, ma è anche aiutato e spinto a farlo, non per affermarsi ma per donarsi nel gioco di squadra, nel concerto, nell’armonia e nella convivialità delle differenze della comunità.