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C. F. Lacchini, In cammino alla luce di Vultum Dei quaerere e Cor Orans – Giornata Pro Orantibus 2022

Pubblichiamo la relazione di Madre Chiara Francesca Lacchini, Presidente della Federazione delle Clarisse Cappuccine

Sabato 26 novembre 2022

Conferenza in diretta ZOOM da Villa N.S. della Meditazione presso il Monastero S. Cuore di Roma

La Vultum Dei Querere ha riaperto delle strade, ha dato la possibilità di “avviare dei processi”.

Uno degli aspetti più importanti, a mio avviso, è quello di aver tentato di suggerire un linguaggio diverso, nuovo.

Se le persone che sono chiamate alla vita contemplativa – non alla clausura – possono riprendere il cammino nella chiesa di oggi, devono ripartire nuovamente dalla formazione all’arte della ricerca.

Nuovamente non in senso temporale: non lo fanno più e quindi devono riprendere.

Ma nuovamente in modo nuovo, con un linguaggio nuovo, con strumenti adeguati, con modalità consone ecc.… nuovamente perché a tempi nuovi non si può rispondere con strumenti vecchi.

Questo – a mio avviso – è una delle debolezze che VDQ ha fatto emergere. Fino ad ora ce lo eravamo dette tra noi; dal 2016 il papa ce lo ha detto e ce lo ha detto in un documento: non siamo in un cambiamento d’epoca ma in epoca di cambiamento anche dentro i nostri monasteri.  Per questo occorre ripartire dalla FORMAZIONE, cioè dal darci la possibilità di darci nuova forma in un tempo che talvolta sembra deformare.

Certamente ci sono poi gli elementi essenziali: la Preghiera, la Parola di Dio, l’Eucarestia, la Riconciliazione, la vita fraterna in comunità, l’autonomia, le federazioni, la clausura, il lavoro, il silenzio, i mezzi di comunicazione e l’ascesi. Ma senza la fatica di una formazione tutti questi elementi rischiano di rimanere come erano, di far cambiare il linguaggio ma non la mentalità.

Qui io ravviso una possibile interpretazione di “chiesa in uscita” per noi: in uscita dai nostri schemi, dalle nostre acquisizioni, dalle nostre tradizioni consolidate, che non è che non servano più ma – forse – non veicolano più il senso di una vita per molte di noi e per quelli che ancora ci avvicinano per essere aiutati a scoprire un senso alla loro vita.

Dove troviamo questo linguaggio nuovo? Nell’unico patrimonio degno di essere custodito e conservato: le Scritture, la tradizione della chiesa, le tradizioni dei nostri Ordini, un autentico e libero dialogo con la storia.

Chi ci ha preceduto ed ha iniziato le nostre forme di vita è stata innovatrice nel suo tempo.

Noi abbiamo preteso di continuare a dire e a fare quello che altri avevano detto e fatto.

Mettere come primo elemento quello della formazione può significare mettere in conto la fatica di non accontentarsi di quello che siamo, di cercare, di pensare, di discernere, di rischiare di scegliere e anche di sbagliare; ma di rinnovare costantemente la nostra fede nel Padre, che crede nell’esercizio della nostra libertà e responsabilità.

Nel 2000 c’era stato il grande programma dell’episcopato europeo: COMUNICARE IL VANGELO IN UN MONDO CHE CAMBIA. Sì, ma con quale stile di vita, con quali parole, con quali gesti?

Se è vero che ogni credente è anche un teologo, è vero che non è indifferente come formula una preghiera, come esercita il ministero dell’ospitalità, come lavora ecc…

La sfida della formazione anche come “lavoro per assumere sempre più la consapevolezza di essere popolo di Dio e popolo che è in uscita”, non autoreferenziale rispetto al “mondo” e neppure rispetto alle altre espressioni di vita monastica.

Questo è e vuole essere un impegno della nostra Federazione: lavorare insieme alle nostre comunità per acquisire un sentire sempre più comune, continuare a lavorare con coloro che condividono la nostra stessa spiritualità (dal 1995 sono in atto processi di formazione interfamiliare), e incrementare il lavoro formativo a livello inter monastico: le nostre spiritualità possono differenziarsi in alcuni elementi, ma in molto attingono alle stesse fonti; le nostre problematiche sono ormai comuni, e insieme possiamo a trovare quelle risposte che da sole risultano ancora lontane o faticose; insieme possiamo condividere ricerca, pensiero, acquisizioni di discernimenti fatti, tentativi più o meno riusciti, risorse ecc…

Senza questo desiderio e impegno personale e comunitario, federale anche il tentativo di rinnovamento, di re impostazione avviato da Cor Orans rischia di rimanere al palo.

Cor Orans ha portato poi allo scoperto alcune fragilità e debolezze, punti critici e di non ritorno. Non voglio generalizzare ma volutamente accentuare: ciò che più ha toccato e tocca di Cor Orans sono i primi due capitoli: la questione dei nuovi criteri per definire l’autonomia di un monastero: quando si può fare capitolo, quando non si può più fare, quando si fa l’affiliazione ecc…  e la questione del potere date alle presidenti federali,

CO è venuto a smascherare anni e anni di tecniche più o meno sofisticate che avevamo trovato per far stare in piedi le nostre strutture e rianimarle anche quando ormai la morte sembrava certa.

Facciamo fatica a cogliere le opportunità che il documento ci offre; nella maggior parte dei casi più faticosi il problema è: perché dobbiamo chiudere? E non piuttosto: questa situazione a cosa potrebbe aprirci?

Nel caso del “potere” dato alla Presidente, che ha molto peso ma non è una superiora maggiore, la lettura è che da lei dipenda il futuro, dimenticando che il compito primario è incrementare la comunione, promuovere la reciproca conoscenza, e raccogliere quelle situazioni di fatica che comunque richiedono una soluzione, subordinato sempre e comunque alla Sede Apostolica e al Dicastero.

Cor Orans ci ha dato criteri sapienti, buoni, oggettivi – criteri che noi stesse avevamo caldeggiato molti anni fa al momento del questionario con cui eravamo state interpellate. Ma nel momento in cui il documento è arrivato, la situazione italiana di diversi monasteri era già oltre ogni limite; e la domanda che oggi nasce è:

– applichiamo le norme e chiudiamo quasi tutto?

– Accogliamo affiliazioni per una rivitalizzazione quando non abbiamo energie e persone per rivitalizzare?

– procediamo con le commissioni, e cosa facciamo in quel frattempo di un anno, due anni di solito indicato nei decreti che autorizzano le commissioni ad operare?

Posso dire GRAZIE per quanto ci è stato dato, per l’attenzione e la sollecitudine, per una stagione nuova che tiene aperta la possibilità di un dialogo franco con il Dicastero.

Per uno strumento che ci offre chiarezze e criteri che sono al di sopra di noi.

Ma devo dire anche che qualche volta si fa fatica a discernere, a stare accanto, a comprendere le azioni tra vari attori compresenti: il Dicastero, la Presidente, l’assistente, le monache stesse, i superiori regolari o diocesani.

Abbiamo bisogno di tempo per assimilare il senso vero di Cor Orans, perché dal senso possiamo poi comprendere la direzione.

Ma abbiamo davvero tanto tempo davanti?

Vogliamo rimanere aperte e sulla strada, per camminare. Questa è la consapevolezza e la volontà che anima i nostri monasteri.

Le conclusioni poi magari non risponderanno alle attese.

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Pubblicato il Economia, Iniziative, Vita consacrata

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