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Caterina de’ Vigri

di Gioia Lanzi

Caterina de’ Vigri, la Santa per antonomasia a Bologna, è ora un po’ più sola: le monache, le Clarisse Osservanti del Corpus Domini, rimaste in numero esiguo, hanno preso la decisione di ritirarsi dal vasto e impegnativo monastero del Corpus Domini che, pur ridotto dalle vicende storiche, era troppo grande per loro. Ma non abbandoneranno quel tesoro che è il corpo incorrotto della Santa che venne chiamata a Bologna, sua città natale, per fondare e guidare un monastero dedicato al Corpus Domini. Chi era santa Caterina lo racconta la stessa grande chiesa che è rimasta in Bologna, chiesa che è un inno all’Eucaristia. A Bologna santa Caterina visse solo sette anni, 1456 al 1463: ma il segno che ha lasciato nella città, nel cuore dei bolognesi, fa sì che Caterina, dopo la Madonna di San Luca, Vergine, sia un vero vessillo della città, per la sapienza che autorevolmente quanto umilmente profuse, e per l’eccezionalità del prodigio del corpo incorrotto. La sua cella, dove come vedremo è rimasta sempre, ornata delle sue reliquie, la violetta, i dipinti, gli ex voto, e soprattutto abitata dal suo corpo incorrotto assiso su un trono dorato, è il luogo visitato da chi vuole raccoglimento per rinnovare l’affidarsi a Dio e confidarGli le sue pene di ogni tipo: la stessa presenza del suo corpo solenne ed incorrotto è pegno di esaudimento. Anche quando la cella è chiusa, dalla chiesa è visibile, attraverso una finestrella sempre aperta, il suo volto è sempre visibile per i devoti. Le monache aprivano la cella in orari precisi, e d’ora in avanti questo avverrà solo nei fine settimana: il monastero è sospeso, ma non soppresso. E abbiamo fiducia che la potenza del monachesimo, con la sua perfetta donazione a Dio, possa ancora operare in città suscitando, sulla via antica e sempre nuova della sequela dell’umiltà obbediente di Cristo Signore, opere e fatti mirabili in cui la Gloria di Dio sarà visibile agli occhi degli uomini. Guardando alla santa claustrale Caterina, il cui corpo incorrotto è pegno di vittoria sulla dissoluzione, i bolognesi attingeranno fede e fonderanno la loro speranza, seguendo i suoi insegnamenti:

Io sono in vita per la perseveranza nella preghiera… la preghiera è vita… maestra… consolazione… rifugio… riposo… bene… ricchezza… apre i cieli e confonde i diavoli… scaccia via ogni tentazione e ogni divagazione della mente; dà volontà di praticare l’obbedienza, di stare volentieri in cella, di amare la santa povertà; infiamma all’amore divino e toglie lo amore del mondo. Non esiste alcun altro mezzo, di qualunque specie e condizione si voglia, con il quale si possa ottenere l’amore di Dio, migliore della devota, umile, continua, violenta e forzata orazione. Per cui, sorelle, tenete per certo che nessuna grazia discende all’anima, se non per mezzo dell’orazione”.

L’Ottavario, dall’8 al 16 marzo, ogni anno è stato momento di grande affluenza e di incontro fra le diverse comunità e le aggregazioni che si susseguivano nell’animazione delle celebrazioni.

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Nata a Bologna l’8 settembre nel 1413 da padre ferrarese (Giovanni de’ Vigri aveva una casa in Bologna) e da Benvenuta Mammolini, bolognese, fu poi allevata alla corte di Ferrara: il padre era al servizio di Nicolò III d’Este, signore di Ferrara, e Caterina fu compagna di giochi di sua figlia Margherita, di due anni più grande. Caterina crebbe dunque in una corte non solo splendida, ma colta e ricca di stimoli spirituali, nella quale la devotio moderna, con la sua attenzione all’essenza del Cristianesimo e agli strumenti ascetici che ne promuovevano una viva esperienza.

Quando Margherita andò sposa, a soli tredici anni (come spesso accadeva in quei tempi), nel 1426 Caterina scelse di ritirarsi dalla vita di corte e seguì un gruppo di pie donne ferraresi che avevano vita in comune, e che tra la regola agostiniana e quella francescana finirono per scegliere quella francescana rigorosa delle Clarisse di Santa Chiara. E’ da ricordare che nel 1431 fu nominato vescovo di Ferrara il beato Giovanni Tavelli da Tossignano, dell’ordine dei Gesuati, che radicò nella città una forte devozione eucaristica e la disseminò del segno dell’IHS a gloria del Nome di Gesù. Il gruppo delle pie donne, fra il 1431 e il 1435, si stabilì dunque nel monastero delle Clarisse del Corpus Domini a Ferrara, che seguiva rigorosamente la regola: qui Caterina rimase fino al 1456. Svolgendo le mansioni di fornaia e portinaia, e anche di maestra delle novizie, visse in povertà, umiltà, penitenza, ubbidienza, e mostrando sapienza e carità, grande amore a san Francesco e a san Bernardo. Pronunciò i voti nelle mani del beato Giovanni Tavelli. Attentissima con tenera sollecitudine alla formazione delle novizie, era stimata e amata, e più volte rifiutò di essere eletta badessa: ma non sfuggì poi a questo onere che la sottraeva alla vita raccolta e nascosta quando fu chiamata nella sua città natale. Chiamando se stessa “minima cagnola latrante sotto la mensa delle eccellenti e delicatissime serve spose dell’immacolato agnello Cristo Gesù” lei stessa fa conoscere tratti della sua vita, e le grazie che ottenne e il modo per ottenerle per il tramite privilegiato dell’obbedienza e dell’umiltà con il libro “Le sette armi spirituali”, dedicato in particolare alle maestre delle novizie. Scrisse “Le sette armi spirituali”, difesa dell’anima nel viaggio verso Dio (consegnate al confessore in punto di morte), e le ricordiamo: diligenza, cioè la sollecitudine nell’operare il bene; diffidenza verso le proprie forze; confidenza in Dio; non dimenticare mai la passione di Gesù Cristo; non dimenticare mai la propria morte; non dimenticare mai la gloria di Dio; non dimenticare mai l’autorità della Sacra Scrittura.

Temprata e provata dalle tentazioni diaboliche -il diavolo giunse a presentarsi a lei come Cristo crocifisso e come la Vergine Maria- abbandonandosi a Gesù imparò a scoprirle e combatterle, rimanendone fortificata.

Al periodo ferrarese si riferiscono diversi episodi prodigiosi, fra i quali spicca quello del “Pane dell’obbedienza e del miracolo”: per ascoltare un buon predicatore lasciò in forno un pane che avrebbe ben potuto risultare bruciato, ma quando lo tolse insieme alle compagne lo trovarono assai ben cotto, e tutte vollero mangiarne. E a Ferrara, al monastero, è possibile ancor oggi visitare durante l’ottavario il famoso forno.

Ed è superfluo elencare i numerosi miracoli

E ancora a Ferrara, nel 1455, col permesso della badessa volle fermarsi per vegliare alla vigilia di Natale recitando mille “Ave Maria”. “Alla quarta ora della notte” le apparve la Vergine Maria e le porse il Bambino. Caterina lo strinse a sé viso a viso, “per lo spazio dì una quinta parte di un’ora”, mentre intorno tutto sembrava svanire: “non fu sogno, ma realtà aperta, manifesta e senza alcuna fantasia”.  Di questa visione è rimasto un tratto nella devozione dei bolognesi, e c’è chi ha sostenuto -questo però è forse più desiderio che realtà- che sulla guancia del corpo incorrotto si veda il segno del bacio di Gesù.  Ma cara ai bolognesi è divenuta l’imitazione della Santa, guidata dalle Clarisse: nella pratica, le “Ave Maria” vengono recitate, quaranta al giorno, dal 29 novembre al 23 dicembre.

La fama del monastero del Corpus Domini fu tale che i magistrati bolognesi ne vollero uno in Bologna, guidato da Caterina: nel 1456, Caterina fu inviata come badessa a Bologna, con l’incarico di fondare un monastero. Il viaggio lungo i canali fu solenne e suggestivo e pure l’ingresso in città.

Venne accolta con grande onore, e si stabilì, con altre 17 clarisse, nel convento di San Cristoforo delle Muratelle. Negli anni seguenti il convento fu ingrandito, si costruirono il chiostro e la chiesa interna. Dal 1447 al 1480 si costruì la chiesa del Corpus Domini, che diede al convento il nuovo nome, e che Caterina non vide completata.

Numerose furono nella sua vita le estasi, e in particolare di una rimane traccia nell’importante apparato che la onora. Infatti, il suo corpo incorrotto viene conservato in un ambiente a fianco della navata della chiesa del Corpus Domini, ambiente che era stato la cella di Caterina, e che tra l’altro in maniera che pare miracolosa, è quasi l’unica parte della chiesa che non abbia subito danni dai bombardamenti su Bologna della seconda guerra mondiale. In questa cella, la Santa siede su di un trono offerto dai Bentivoglio, signori della città, sul quale spicca la scritta: “Et gloria Eius videbitur in Te”. Queste parole vengono da una visione in cui Caterina, dopo una gravissima malattia, vide Dio, la Madonna, i Santi e gli Angeli, uno dei quali cantava accompagnandosi con la violetta (una specie di viola) proprio queste parole. Dopo questa visione Caterina rimase a lungo in grande letizia, e spesso ripeteva il canto, suonando la sua violetta, che pure è visibile nella sua cella.

Ma il più grande e vistoso prodigio, è quello del suo corpo incorrotto, che, quasi emblema della sua vittoriosa lotta contro le forze del male che tanto spesso la tormentarono, si è conservato intatto e mobile, anche se nel tempo ha perso la freschezza e i colori che ci vengono testimoniati dalla vita “Specchio di illuminazione”, scritta dalla sua consorella Illuminata Bembo, veneziana, che fin da Ferrara le fu amica e poi biografa.

A un anno dalla sua morte, volle ripetere la lavanda dei piedi di Gesù onorando così le consorelle (ed è bello ricordare che questo fece anche la santa bolognese Clelia Barbieri, la prima canonizzata a Bologna dopo santa Caterina).

Ma si avvicinava la sua ora: il venerdì prima della sua morte congregò tutte le monache per quello che disse sarebbe stato il suo ultimo capitolo, in cui fu rieletta badessa, e le istruì sull’importanza dell’orazione. Il sabato e la domenica mostrò grande letizia; il martedì fu in confessione per due ore, e così pure il mercoledì, e, fra lo smarrimento delle consorelle, chiese l’Eucaristia, e che si portassero il Crocifisso, dell’acqua e delle candele benedette.  Dopo la confessione e i Sacramenti, invocò: Gesù! tre volte, e rese l’anima. Era il 9 marzo 1463: “Rimase così bella da meravigliare…era bianca, flessibile, odorosa, e sembrava solo addormentata.  E quando fu portata in chiesa per il servizio divino, appena fu deposta innanzi al Santissimo, si mosse in atto di giubilo.

Seppellita come d’uso nel chiostro, con un panno sul volto, e sulla sua tomba si videro luci e ne provennero profumi, tanto che dopo diciotto giorni fu disseppellita, e posta sotto una loggia, mentre il volto già sfigurato dalla terra che l’aveva gravato, riprendeva bellezza e candore.

La santa Pasqua quell’anno fu il 10 aprile: e in breve si era diffusa la notizia del prodigio, e cominciò a venire gente al monastero per vedere la Santa. Dopo tentativi, falliti, di sepoltura, fu infine posta a sedere sul trono donato dai Bentivoglio nel 1465, esposta nella cella dove era morta, trasformata in cappella.

I bolognesi non hanno più smesso di cercarla.

Amò il canto, la poesia, la pittura, che aveva appreso nel mondo, e ne usò per render gloria a Dio, e trasmettere la bellezza di un’esperienza mistica eccezionale, che possiamo conoscere nella compagnia del suo corpo, nonché nei suoi scritti, il trattato ascetico Le sette armi spirituali, il Rosarium, poema teologico di oltre 5000 versi; i Dodici giardini lettera-trattato sull’amor sacro.

Papa Clemente VII concesse la celebrazione della Messa e dell’ufficio proprio per il 9 marzo.

Il culto fu immediato e ininterrotto.

Il processo di canonizzazione iniziato nel 1669, fu lungo perché in quegli anni mutarono le regole per le canonizzazioni, e terminò con la proclamazione il 22 maggio 1712 a Roma, nella festa della SS. Trinità.

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