di Monica della Volpe
A proposito della difficoltà di discernere nel panorama attuale della vita e morte dei monasteri, ci sembra di individuare alcune tendenze fondamentali. La prima osservazione che ci sentiamo di fare è questa: fra i criteri di interpretazione che si applicano alla vita delle comunità ce n’è uno che è sempre stato basilare: una comunità è vitale se ha vocazioni. Oggi, soprattutto se le vocazioni sono molte e sono giovani, questo sembra piuttosto un motivo di biasimo o di sospetto: sarà probabilmente una comunità tradizionalista? Si può arrivare su questo sospetto alle misure più drastiche, come la soppressione.
Al contrario, se si chiede come mai una comunità che è stata rinomata non abbia più vocazioni, capita di sentire questa spiegazione: sono diventate troppo progressiste, hanno buttato via tutto, per questo le giovani non entrano più. È possibile che in entrambi i casi ci sia qualcosa di vero, ma come non fermarsi in superficie?
Dobbiamo riconoscerlo: fra i mali che travagliano la Chiesa e quello che era ritenuto il cuore della Chiesa – ossia la vita religiosa, monastica, contemplativa – fra questi mali spicca oggi l’insensata polarizzazione fra progressismo e tradizionalismo; presente nella politica ma anche fra noi.
Certamente lo snodo principale è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II, con le sue seguenti interpretazioni, manipolazioni, travisamenti.
Il Concilio aveva voluto invitare la Chiesa a uscire da un irrigidimento difensivo nei confronti del mondo e dei suoi attacchi. Il senso dell’invito era un impulso rinnovato verso la missione, un nuovo impeto missionario verso il mondo. Aprirsi voleva dire andare verso l’uomo trovando linguaggi adatti ad annunciare nuovamente Cristo, e inversamente aprire le porte della Chiesa per farvi entrare gli uomini del nostro tempo. Chi ha potuto ascoltare ed accogliere, ne ha anche raccolto il frutto.
In luogo di questo, si è spesso verificato un dilagare della mondanità nella Chiesa, abbattendo i baluardi della fede e i bastioni della tradizione più autentica. Chiamiamo questo: progressismo, intendendo con questa parola la resa al mondo, al suo materialismo, a quella che è ormai la sua ossessione per la carnalità più brutale.
Il tradizionalismo inteso come reazione a tutto questo, può andare da uno sforzo bello, positivo e generoso a un insieme di errori deprecabili, ci basti qui dire che non si può fare di ogni erba un fascio.
Rinnegheremo per tutto questo il Concilio, il suo invito all’apertura?
Piuttosto ci chiederemo che cosa è mancato in noi, perché l’impeto missionario non abbia retto – e in qualche caso non sia nemmeno nato. Smettere di interrogarsi sugli errori degli altri e interrogarci sui nostri è il primo passo per uscire dalle contrapposizioni.
Proviamo a interrogarci più a monte, cerchiamo di capire, senza attendere eternamente esperti e professori che ci spieghino ogni cosa, onoriamo anche noi, semplici monache, il dono del pensiero che Dio ci ha dato: dove si colloca il motivo per cui la vita cristiana e religiosa si era così ingessata, formalizzata, tanto da allontanarsi dalla vita reale, che sembrava scorrere altrove?
Evidentemente non si possono dare risposte troppo semplici; ma forse un fattore importante che è stato troppo poco considerato è proprio quello della preghiera e della spiritualità – quello che sarebbe il nostro compito specifico.
Dalla sana vita liturgica ed ecclesiale dei nostri monasteri, che come un fiume, vuoi sotterraneo vuoi che scorresse all’aperto, secondo i differenti carismi, irrorava la Chiesa, comincia a deviare, a partire dal 1200-1300, un rivolo basato sulla teologia apofatica o negativa; una ricerca di illuminismo, ricerca di rivelazioni e illuminazioni mistiche che costituivano una evasione e comunque sempre una esaltazione delle facoltà umane naturali, un super potere spirituale. Tutto questo è andato avanti, in forme diverse ma sempre risorgenti, parallelamente al tentativo materiale nella nostra società di impadronirsi di una potenza quasi divina mediante il dominio della scienza e della tecnica.
Tutto pareva preferibile all’accettazione dell’umana creaturale povertà, della lenta e faticosa crescita della vita cristiana negli spazi quotidiani della fede e della carità.
Fra ricerche ambigue di vie spirituali e correzioni e tagli degli errori, inevitabili da parte della gerarchia, la sorgente si è a poco a poco inaridita, o meglio è scomparsa e gli idoli del materialismo hanno avuto la meglio.
Oggi, davanti alle ultime notizie di cronaca, davanti al crollo di quelli che parevano i nuovi modelli, quelli finalmente adeguati, vincenti, della vita religiosa, possiamo piangere e chiederci: ma come perfino le colombe sono andate a fare il nido nella tana del falco? Come semplici giovani donne sono così potute cadere nelle trappole degli orchi?
Come poi gli orchi possano continuare a regnare indisturbati, non ce lo chiediamo neanche, fa parte delle logiche del mondo, che si infiltrano persino nella Chiesa. Ci aveva già spiegato tutto S. Agostino.
Oggi sembra che la rabbia – di chi? – si sia scatenata all’interno stesso della Chiesa contro quello che era il proprio tesoro; la mazzata delle soppressioni e in certi casi, diciamolo pure, delle persecuzioni dei monasteri e conventi è forse qui a dirci che siamo venute meno al nostro compito di alimentare in modo forte e vero la vena spirituale che è la vita della Chiesa.
Non si tratta di colpe attuali o personali delle religiose che vengono oggi colpite: si tratta piuttosto della conseguenza di peccati di omissione, o di tiepidezze, o di deviazioni delle generazioni precedenti, fino alla nostra.
Non crediamo che le soppressioni violente abbiano motivi reali; spesso sono pretestuosi e basati su falsità, spesso queste operazioni falliscono anche l’obiettivo materiale e i beni vengono, sì, saccheggiati, ma capita che rimangano invenduti.
È un grande richiamo: tocca a noi fare sì che la grande devastazione divenga una grande purificazione. Siamo più colpite perché siamo privilegiate, abbiamo avuto la parte migliore, dobbiamo risponderne, per tutti.
Tutto questo ci dice che il mondo ha più bisogno che mai di contemplazione, la Chiesa ha più bisogno che mai di donne vere e di donne consacrate, Cristo esige più che mai le sue predilette accanto a sé. Pazienza se gli uomini importanti non lo sanno, il popolo cristiano lo sa e ce lo dice ancora.
Si tratta solo di crederci ancora, di riaprire i nostri forzieri (quelli spirituali), di riaprire il cuore al vento dello Spirito Santo, di resistere alle forze di morte e di cercare la Vita vera. A tutto il resto penserà il Signore.
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