Il numero di Pro Orantibus – la rivista curata dal Segretariato Assistenza Monache per le claustrali – del novembre 2019 presenta in copertina una citazione programmatica: La Chiesa di Dio è universale, per nulla straniera presso nessun popolo (Benedetto XVI).
Gli articoli svolgono i temi della interculturalità e della cattolicità evangelica. Come sempre la parte più incisiva è quella delle testimonianze di vita.
Un articolo di Vitorchiano, che sta preparando la sua ottava (nell’arco di 50 anni) fondazione, questa volta in Portogallo. Vitorchiano ha fondato sempre in stile tradizionale e con cuore missionario, inviando ogni volta almeno 10 sorelle. Dopo la prima fondazione in Italia ha privilegiato altri contenenti, l’America Latina e l’Asia, tornando poi nella nostra Europa ridivenuta terra di missione, in Repubblica Ceca; infine, in un profetico ritorno alle sorgenti mariane dell’ultimo tormentato secolo, fonda in Portogallo.
Segue una commovente testimonianza della Benedettine di Offida, presenti dal 2012 fra le montagne del Caucaso per rispondere a un appello della Chiesa locale, “in 4 monache più un cane randagio”, fra una popolazione in maggioranza ortodossa non sempre benevola. Queste sorelle esprimono una precisa e coraggiosa testimonianza di obbedienza di fede a una non facile vocazione, sia missionaria sia ecumenica. Fiducia, realismo e senso dell’umorismo colorano il loro racconto: “In questi sette anni di missione non sono mancati disagi, sofferenze, difficoltà di ogni genere, scoraggiamento ma, come dice san Paolo, In tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati (Rm 8, 37). E, citando il Papa: È tempo di coraggio, anche se avere coraggio non significa avere garanzia di successo.
Segue la presentazione del Carmelo di Haifa in terra di Israele, presente sul Monte Carmelo da 127 anni, composto da 20 sorelle provenienti da 14 nazioni. In “un mosaico di culture, lingue e tradizioni con un profondo anelito di comunione”. Questo monastero, dove la presenza orante è mantenuta con la scelta e il concorso di tutto l’Ordine, ha ormai una consolidata esperienza multiculturale in ambiente di dialogo ecumenico e interreligioso.
Il monastero delle Clarisse di Santa Maria Maddalena di Matelica, è stato fondato nel 1230 sull’Appennino umbro-marchigiano. Ricco di luminose testimonianze di santità, è stato rivitalizzato nel 2010 dall’arrivo di 6 sorelle provenienti da 3 comunità diverse, che si sono unite alle 6 anziane presenti, in una esperienza di comunione intergenerazionale nella carità. Particolarmente interessante per la situazione italiana è questa esperienza di rivitalizzazione, che ci auguriamo di vedere moltiplicata e riuscita in tanti altri luoghi.
Conclude la serie degli articoli la presentazione dell’esperienza ancora tutta iniziale delle Clarisse di Belforte del Chienti, “trasferitesi” in Tailandia! – con una commovente e commossa accoglienza della Chiesa locale.
Queste esperienze ci fanno riflettere. È di tutti i giorni la notizia di monasteri chiusi o in chiusura, comunità soppresse o disperse per mancanza di forze. Vi sono ancora Vescovi, Parroci, Comunità cristiane sensibili all’importanza di una presenza orante sul proprio territorio. Abbastanza spesso arrivano richieste di ripopolare un monastero, farlo rivivere, fare una fondazione. Però l’unica immagine nella mente di tutti è quella di un gruppo numeroso e forte, sostenuto da una comunità molto più forte: come sarebbe a dire la fondazione di Vitorchiano, o quella di San Giulio. Quando si spiega che questo non è possibile, ma si potrebbe forse tentare qualcosa d’altro, il discorso cade. Più semplice e sicuro rinunciare, vendere, lasciare.
Forse bisognerebbe fare un passo in più, ascoltare i segni dei tempi anche quando non sono attraenti o rassicuranti. 50 o anche 30 anni fa, due o tre monache che si staccassero dalla proprio comunità senza il sostegno di un regolare progetto di fondazione, erano facilmente inquadrabili: si trattava di un progetto personale che poneva dubbi e interrogativi. Perché uscivano dalla comunità? Perché questa non appoggiava il loro progetto? Che affidabilità poteva avere una impresa di questo tipo, portata avanti secondo un procedimento non chiaramente ecclesiale?
La situazione di oggi è molto differente: precarietà, instabilità e confusione si riscontrano un po’ dovunque e a tutti i livelli. Fondazioni tradizionali, cioè numerose e bene organizzate – il modello antico benedettino prevedeva la partenza di 12 monaci o monache – pochi oggi se le possono permettere. Le risposte ad appelli missionari nello spirito di Ad Gentes, o alla rivitalizzazione di antiche e preziose presenze sul nostro territorio sono spesso costruite con la solidarietà, la creatività, l’inventiva proprie dei poveri – e anche con una buona dose di rischio. Il sacrificio poi, è necessario sempre. Tutte le sorelle di cui abbiamo letto le testimonianze paiono dirci: NE VALE LA PENA!
Forse anche i vescovi, i parroci, le comunità cristiane che desiderano una presenza spirituale che dia vita e calore alla loro Chiesa, che rianimi antichi e amati centri di spiritualità, sono chiamati a riflettere più profondamente: il cuore sta al centro di un corpo, tutte le membra hanno bisogno le une delle altre. Se vogliamo ancora un sacerdote, dobbiamo insegnare ai nostri figli ad amare e rispettare la vocazione al sacerdozio; se vogliamo un monastero di contemplative dobbiamo oltre che amarlo e rispettarlo anche sostenerlo. E qui i laici si rivelano spesso generosi, quello che manca non è una mano che dona – e se non ci sono più risorse finanziarie si potrà sempre donare lavoro. Ma quello che occorre sono un cuore, una mente, una unità, un progetto: capace di chiamare e perseverare nel chiamare, di accogliere aiutare e sostenere, di creare unità fatta di ascolto e di risposta.
Come fonderemo se non avremo più vocazioni? Ma come verranno le vocazioni se non amiamo e non conosciamo più la realtà della vita monastica e contemplativa? E come ameremo e conosceremo…? E come risponderemo all’appello, e come inizieremo una nuova avventura, se oggi la legislazione della Chiesa in materia si fa sempre più prudente ed esigente?
Le risposte, le vie possono essere tante. Diciamo solo gli ingredienti minimi per tentare di cucinare al popolo di Dio questa vivanda che ha ancora tanta sostanza vitale da apportarci.
Occorrono alcune, forse anche poche, religiose solidamente formate.
Occorre la volontà benevola e decisa della chiesa.
Occorre una struttura che sostituisca – dove non c’è – la comunità ricca e forte alle spalle. Potrà essere una Associazione di fedeli, che coordini religiose, laici, il sacerdote, che si assuma una responsabilità anche civile di quanto si fa. (Anche la nostra stessa Fondazione, che però ha sempre bisogno di rinforzi locali, può fornire questo soggetto istituzionale). Occorre il concorso benevolo e concorde di tutti.
Ogni realtà locale avrà poi la sua storia, le sue risorse, le sue irripetibili dinamiche, ma l’esperienza di una potrà arricchire tutte. Cercheremo di pubblicare in seguito altre testimonianze.
CHI HA TESTIMONIANZE, ESPERIENZE, RICHIESTE PUÒ FARCELE PERVENIRE.
Monica della Volpe
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