di Monica della Volpe
L’eclissi, o l’insufficiente sviluppo di una giusta frequentazione della Parola e della Lectio come chiave per una comprensione profonda di Cristo e dei Misteri della Salvezza si accompagna talora, nella storia, a una enfasi sull’esperienza mistica cresciuta all’ombra di una teologia negativa. Teologia negativa vuol dire: il mistero è inconoscibile, non si può tentare di comprenderlo e di parlarne, occorre solo sperimentarlo per via unitiva in una preghiera ed esperienza oscura.
Questo tipo di preghiera, certamente complementare a quella liturgica, può anche talvolta essere vissuta come fuga da una pratica cristiana e da una vita ecclesiale, o comunitaria, ritenuta insoddisfacente – o almeno bisognosa di qualcos’altro, ritagliato a parte: non ho mai abbastanza tempi di preghiera. Questo può capitare in una vita religiosa soffocata dall’attivismo.
Allargando il contesto, questo capita frequentemente in una società pervasa da un soffocante ateismo, dove le proposte di vita cristiana non siano facilmente incontrabili o leggibili come via per l’incontro con il Mistero, come luce sul significato, come orizzonte aperto e respiro per l’anima.
Storicamente la teologia negativa e la sua conseguente ricerca mistica ha prosperato nei secoli della modernità, con il quietismo in Francia o gli Illuminati in Spagna, fino a che le condanne della Chiesa hanno stroncato il fenomeno, che presentava qua e là aspetti inquietanti. La teologia neo-scolastica ha poi inquadrato l’esperienza spirituale, mistica, di preghiera in categorie fisse – avete presenti quelle vite di santi in cui si disquisisce se la loro contemplazione fosse infusa o non infusa, con linguaggi tecnici incomprensibili… rendendo l’argomento insopportabile.
Abbiamo così un abbandono della preghiera e una morte per soffocamento della spiritualità, che si rivela nell’arte: dal 900 non c’è più arte cristiana, segno inequivocabile di una carenza di vita spirituale cristiana che, quando c’è, sempre trova le sue forme espressive di reale bellezza. Cosa facciamo ormai quando abbiamo bisogno del ritratto di un santo? Ricorriamo all’icona. Ma non abbiamo creato un’arte nostra, magari con l’influenza dell’icona: è un sostitutivo.
L’arte è solo un sintomo: la ricerca della preghiera e della spiritualità si è volta sempre più a oriente, non solo all’Oriente cristiano ma anche all’estremo oriente, in cerca di tecniche, passando poi ai culti idolatrici pre-cristiani e rimettendoli in auge, magari con la giustificazione dell’apertura inter-religiosa. Si arriva così a negare quella rivelazione che non si conosce più, della quale non si fa più esperienza.
La via monastica per recuperare una spiritualità cristiana è quella di ripartire dal culto e dalla liturgia, cuore del mistero cristiano, al cuore della vita e della giornata di una comunità concreta che del mistero è alveo e incarnazione. Qui diventa possibile imparare a leggere quello che si celebra: nella lectio, nell’ascolto del magistero della Tradizione lontana e vicina, nell’ascolto della propria umana esperienza, lavoro, vita fraterna, servizio. E infine nella meditazione e nell’adorazione silenziosa.
È velocemente detto; ma la strada fra l’uomo sperduto nel mondo globale postcristiano e l’inizio di questa via appare talvolta come un deserto, o come una selva, oppure come un labirinto.
È importante che almeno noi abbiamo chiara la proposta da fare.
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