Il lavoro è profondamente corrispondente alla natura umana:
L’uomo ha un corpo e un’anima ed entrambi devono svolgere il proprio compito ogni giorno. Il corpo deve essere nutrito e coperto, e a questo fine l’uomo deve lavorare con le proprie mani, arare il terreno, spaccare la legna, prendersi cura del bestiame, farsi degli abiti, riscaldare la propria casa e arredarla con semplicità. Ma più importante è il nutrimento dell’anima, mediante lo studio, la lettura, la meditazione e la contemplazione delle cose divine. L’uomo deve allora innalzare il suo spirito a Dio nel ringraziamento, nella preghiera, nella penitenza e nell’adorazione. Nessuno di questi aspetti viene trascurato in monastero. La regola di Benedetto tiene in grande conto la natura umana e si cura di dare all’uomo una vita sana e felice, che Benedetto chiama “scuola del servizio divino” (RB, Prol. 45). Sono certo presenti la fatica e il sacrificio ma ancor più vi è la soddisfazione di un compito svolto bene. E alla fine, al di sopra di tutto, c’è la gioia soprannaturale di chi ha donato tutto il suo tempo e i suoi pensieri a Dio e vive come figlio fedele del suo Padre celeste.
(Thomas Merton, Un vivere alternativo, Qiqajon, Magnano, pag. 28-29.
Questa una delle tante citazioni di autori antichi e moderni, monastici e non, che si possono leggere nel settore “il nostro lavoro” del sito di www.valserena.it, come certamente se ne possono trovare in altri siti e pubblicazioni monastiche, specie della famiglia benedettina.
Quello invece dei beni monastici, della loro gestione, alienazione, destinazione e quant’altro è un tema alla ribalta nei nostri tempi, che vedono l’invecchiare e forse il chiudere di molte comunità monastiche e la necessità che appunto i beni non vadano dispersi…?
Il tema può essere affrontato da molti punti di vista; vorremmo dare qui qualche assaggio, certamente non esauriente ma solo indicativo. Ricordando però che qualsiasi punto di vista deve rimandare, sanamente, alla grande e fondamentale questione, prima antropologica e poi monastica, del lavoro.
Se i beni monastici sono oggi ingenti, è perché il lavoro dei monaci è stato tenace, indefesso, qualificato, intelligente, almeno nel passato. Dalla coltivazione della terra, la prima elementare forma del lavoro monastico, alla cultura, che è la coltivazione della mente e dell’anima, mediante tutte le arti, dalle più semplici alle più nobili, tutti siamo beneficiari, almeno in Europa, di questo lavoro: beneficio in ricchezza, in qualità della vita, in valore aggiunto in ogni campo che possa dirsi autenticamente umano. Come spesso capita, talvolta i discendenti di padri industriosi possono non essere allo stesso livello, e lasciarsi andare ad una vita facile. In ogni caso, si pone oggi a molti il problema di come utilizzare, non disperdere, aggiudicare queste ricchezze. Per quanti tecnici possano entrare in campo, il problema non sarà ben risolto e bene impostato qualora ci si allontani troppo da quella che è stata la sorgente di queste ricchezze, cioè il carisma monastico. Ovviamente sviluppare qui il discorso sarebbe troppo lungo.
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