Santa Maria Assunta di Rio Cesare a Susinana è un antico complesso monastico Vallombrosano, sito in una località suggestiva e incantevole fra i monti del Mugello. Posto su un piccolo poggio fra due fiumi, il Senio e il Rio Cesare, saltellante fra i sassi, è preceduto da un imponente mulino, dal quale, dalla strada provinciale, fra Casola Valsenio e Palazzuolo sul Senio, si accede a un ponte ad arco; dopo questo un percorso selciato sale a serpentina fra i pini arrampicandosi fino alla Badia. Oggi il percorso è in abbandono e l’accesso in auto è aperto dall’altro lato, passando davanti ad un agriturismo.
La prima costruzione monastica risaliva al 1090.
Durante i secoli la Badia è stata luogo di preghiera, asilo di pellegrini, ma anche talvolta rifugio e ricovero per avventurieri. Nel 1137 venne distrutta. Tra il XVII e il XVIII secolo fu completamente trasformata e conobbe il suo massimo splendore. Divenne dimora della famiglia Pagani. Maghinardo Pagani fu sepolto nel cimitero della Badia. È citato nel XXVII canto dell’Inferno di Dante che lo descrive come il signore di Imola e Faenza e sottolinea il suo comportamento politico contraddittorio (si schierò prima dalla parte dei Guelfi e poi da quella dei Ghibellini).
«Le città di Lamone e di Santerno
conduce il lïoncel dal nido bianco, che muta
parte da la state al verno.»
Oggi all’interno della chiesa si trovano un coro ligneo nel 1771 e il fonte battesimale di ceramica realizzato agli inizi del Novecento, in stile liberty, da Galileo Chini.
Sino ad oggi il complesso abbaziale appartiene alla famiglia fiorentina degli Scalini-Scala, mentre la chiesa, che è stata a lungo chiesa parrocchiale, con l’annessa canonica appartiene alla diocesi di Firenze.
Nel 1997 due monaci Benedettini vengono ad occupare la canonica, trasformandola in monasterino. Ristrutturano una casetta in pietra vicina, che diviene una minuscola foresteria e Santa Maria Assunta al Rio Cesare rivive, come centro di attrazione spirituale nella zona montana. I monaci rimangono fino al settembre 2016, quando l’età avanzata e il clima severo nei lunghi mesi invernali li costringono a partire.
Nel 2012 imponenti celebrazioni ricordavano il millennio della fondazione di Camaldoli. (clicca qui) Non potevamo non commuoverci leggendo il volantino di presentazione:
Sono ormai mille anni che un gruppo di monaci si è stabilito a vivere nel «Campo di Maldolo» sulla dorsale degli Appennini, lungo una antica strada di collegamento tra la Romagna e Arezzo. Il primo di loro fu Romualdo di Ravenna, che arrivò con cinque compagni in quella radura della foresta messa a disposizione dal vescovo Teobaldo di Arezzo. Nasceva così l’Eremo di Camaldoli, nel quale i discepoli di san Romualdo coltivavano la preghiera in spirito di penitenza, nel silenzio della cella secondo l’insegnamento del fondatore. A pochi chilometri di distanza, un ospizio gestito dai monaci per l’accoglienza di visitatori e viandanti divenne presto luogo di formazione per quanti desideravano entrare a far parte della comunità, e pochi decenni dopo era conosciuto come il cenobio di Fonte Buona.
Non trascorse nemmeno un secolo dalla fondazione e la piccola comunità crebbe fino a formare una congregazione che univa eremi e monasteri e seguiva la regola benedettina secondo l’austero spirito romualdino.
Lungo il corso di dieci secoli Camaldoli, eremo e cenobio, ha continuato a rappresentare un luogo in cui, nel silenzio, la ricerca di Dio attraverso lo studio delle Sacre Scritture diviene ammirazione per la creazione, attenzione verso l’uomo e la natura, contemplazione della bellezza come dono di Dio.
Il Millenario è il nostro dire grazie per questa storia di uomini e donne trasformati dall’ascesi e dalla cultura, cresciuti in una foresta d’ alberi dei quali hanno avuto cura, che è anche storia dei viandanti, viaggiatori e pellegrini accolti nelle loro case.
I monaci e le monache camaldolesi desiderano esprimere questa gratitudine, e vorrebbero farlo insieme a tutti coloro che la condividono e sentono una vicinanza con loro, derivante dall’affinità spirituale, dall’amicizia, dalla collaborazione professionale o anche semplicemente per la prossimità territoriale. E se da una parte cercano di approfondire i motivi che ancora oggi li spingono a vivere come monaci benedettini camaldolesi e a proporre ad altri questa particolare esperienza, dall’altra non vogliono perdere la memoria di questi mille anni di storia, che sono stati ricchi di significanze non solo in molte regioni d’Italia ma in vari altri luoghi nel mondo.
Eppure negli stessi giorni i monasteri delle monache Camaldolesi, salvo uno, S. Antonio di Roma, si trovavano in difficoltà notevoli. Non potevamo non piangere, all’avvicinarsi della chiusura del Proto monastero di Pratovecchio, proprio in questo sacro millenario.
Una monaca nostra amica, la più giovane, entrata giovanissima in monastero e vissuta in una comunità anziana, non si rassegnava a finire i suoi giorni in una casa di riposo per monache. Voleva tentare ancora di vivere la vita camaldolese, quella di san Romualdo, nella sua semplicità. Voleva ancora investire la vita nel sogno dei suoi 15 anni, che l’aveva portata in monastero.
In quei giorni un sacerdote della diocesi di Imola, eremita, si fece inaspettatamente vivo dal suo eremo di Monte Mauro nell’Appennino romagnolo (durante la telefonata la linea cadeva continuamente, una vera impresa capirsi), con uno strano SOS: Una antica Badia del Mugello, abitata negli ultimi 25 anni da due monaci benedettini, rischiava di ricadere nell’abbandono: qualche monaca poteva ripopolarla? – Scoprimmo poi che si trattava di un oblato Camaldolese di Monte Rua, restauratore degli eremi di Gamogna (clicca qui) e di Monte Mauro (clicca qui).
Fu così che, dopo un non semplice percorso, sr. Maria Teresa, Camaldolese di Pratovecchio, partì per Susinana.
Cronache di una impresa monastica nel Mugello (clicca qui)
Contavamo molto, mettendoci in questa impresa, sulla precedente e riuscita esperienza della rivitalizzazione di una antica abbazia Cistercense ottenuta mediante un Patto – ovvero una collaborazione fra diverse parti che avevano deciso di cooperare per una iniziativa che pareva ai più impossibile e avevano a questo fine stilato un preciso accordo.
Dopo avere molto ragionato e molto scritto, ci siamo resi conto che in questo caso non c’era alcun accordo possibile.
O meglio, l’accordo c’è stato, ma ad altro livello. Il primo Patto è stato stipulato da sr. Maria Teresa e da chi scrive con la Vergine Maria e San Michele, alla presenza di un anziano e venerabile sacerdote e qualche altra persona.
Subito poi si sono aggiunti San Romualdo (clicca qui) e la Venerabile sr. Maria Crocifissa di Pratovecchio, dei cui scritti sr. Maria Teresa era archivista e redattrice. Tralasciando molti altri che hanno accettato di essere della partita, non possiamo non menzionare san Pier Damiani (clicca qui), grande amico e sponsor del nostro restauratore di eremi (oltre che sacerdote ed eremita egli stesso) don Massimo Randi; e naturalmente san Giovanni Gualberto (clicca qui), nostro amico da tempo che ci precedeva in questa Badia Vallombrosana. Ma alla lista mancava ancora qualcuno: Sofia (clicca qui), fondatrice e prima badessa del monastero Camaldolese di san Giovanni Evangelista di Pratovecchio.
Sì; vedendo che la stesura del Patto era impossibile e con i ragionamenti e i tentativi di accordi si arrivava a poco, non rimaneva che rivolgersi a lei, perché volgesse lo sguardo a questa sua discendente – al secolo Zofia Joanna Bator – dove Bator sta per valoroso, coraggioso – del monastero di San Giovanni Evangelista di Pratovecchio.
E quando abbiamo scoperto che lì, a Badia, eravamo vicinissime a un altro antico sito Camaldolese, Luco di Mugello (clicca qui), abbiamo sentito che Sofia ci avrebbe aiutate.
Mandasse la sua leggendaria mula bianca per raccogliere e portare alla vittoria quest’altra cavallerizza; non per difendere eredità feudali di una potente castellana quale lei era stata, ma per concedere a una povera monaca di poter vivere ancora oggi secondo l’eredità spirituale dei Padri e delle Madri Camaldolesi.
Si realizzerà in pieno questo desiderio? quando, come? Non sappiamo rispondere. Ma la nostra sorella, quando la interroghiamo e le chiediamo se si sente di continuare così da sola, ci risponde invariabilmente: io non sono mai sola, perché qui è presente Gesù nel Santissimo Sacramento. Dio, i Santi, gli Angeli continuino a proteggerla.
Monica della Volpe