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La lezione del monachesimo benedettino

La lezione del monachesimo benedettino

di Rita Bettaglio

 

Quanto mi accingo a scrivere sono riflessioni a margine della lettura di un pregevole contributo dell’abate camaldolese Roberto Fornaciari, pubblicato nel 2011, nel volume Cattolici d’Italia…

Il testo, assai documentato, tratta dell’evoluzione istituzionale del monachesimo italiano dall’Unità ai giorni nostri [1]. Ripercorre, con dovizia di interessanti particolari, il percorso ad ostacoli del monachesimo italiano, principalmente benedettino ma non solo, dalla metà del XIX secolo ai giorni nostri.

Il secolo XIX fu, per la Chiesa italiana, molto travagliato: si succedettero provvedimenti pesantemente ostili, prima napoleonici e poi sabaudi. Tale furia laicista culminò, in Italia, colla cosiddetta eversione dell’asse ecclesiastico, cioè la soppressione degli Ordini ed Istituti religiosi e la confisca dei loro bene, con conseguente incamerazione dei beni da parte dello Stato, negli anni 1866 e seguenti.

A proposito della estrema scarsità di opere di sintesi riguardante la storia degli ordini o delle singole congregazioni presenti in Italia, p. Giovanni Spinelli OSB annota: “D’altronde non si può fare a meno di rilevare come la storiografia monastica sia per sua natura storiografia dei singoli monasteri anche se ciò fa molta fatica ad essere recepito e questo comporta di per sé un’inevitabile frammentazione del discorso”.

Il quadro delineato dal Fornaciari fa riflettere non solo sul periodo storico preso in esame, ma sull’intera storia del monachesimo in Italia e nelle nazioni vicine, principalmente la Francia.

L’azione esterna e pesantemente persecutoria delle autorità civili disperse le comunità monastiche, ma in esse si rafforzò la volontà di testimoniare Cristo nella prova e diede luogo a fenomeni di rinascita nella terra d’esilio. Possiamo vedere, emblematiche, le vicende dell’abbazia di Praglia, soppressa e dispersa più volte ma altrettante volte rinata, ora all’estero ora in patria. Così accadde a molte comunità, cui la persecuzione funse da semenza di santi e di nuove fondazioni.

In generale si può dire che due furono, nella storia del monachesimo occidentale, le dinamiche in atto, una esterna e l’altra interna, entrambe permesse da Dio in una costante opera di purificazione della santa Chiesa.

I monasteri nascono, muoiono e rinascono. La fortissima stirpe dei cenobiti, Coenobitarum fortissimum genus, conosce alti e bassi, periodi di osservanza e di rilassamento, ma sempre il seme, espulso da un terreno, attecchisce in un altro.

L’osservanza della Regola portava a sviluppo, non solo monastico ma anche ricaduta sulla società civile, il rilassamento era già di per sé una soppressione endogena, come ebbe a notare il beato card. Schuster nella Regula Monasteriorum.

Povera vita religiosa! Dicono che sia stata la Rivoluzione Francese che soppresse una quantità di conventi! Non occorreva. Purtroppo essi si erano già soppressi da sé! [2]

Aggiunge madre Cabitza, anima della rinascita del monastero di Rosano, “É notevole il fatto che, nella complessa e travagliata storia del monachesimo benedettino, attraverso 14 secoli di vicende non sempre felici, tutte le volte che, dopo un periodo di decadenza, anime generose hanno concepito la necessità di una riforma, mai nessuno abbia pensato ad attuarla col “ringiovanire” la Regola, ma solo attraverso il ritorno integrale all’osservanza più fedele della Regola stessa” [3].

La Regola benedettina, che san Gregorio Magno, definisce ‘eminente per la discrezione’, discretione precipua, ha creato nei secoli quella acies ordinata (cfr Ct 6,9), umile ed obbediente che ha informato di sé la Chiesa e la società civile: i monaci benedettini.

Ecco come m. Cabitza descrive il monaco:

Nessuna rigidità in tutto ciò che è contingente.  Figlio del suo secolo, il monaco ne assimilerà quanto vi può essere di buono, comprendendone a fondo le esigenze, senza negare la sua opera dove essa sia necessaria, con un adattamento costante, attraverso i tempi, e a seconda dei paesi dove la Provvidenza lo ha posto; ma intimamente, nella sua realtà più segreta e più vera, i suoi lineamenti rimangono immutati e tanto più sarà feconda la sua vita, quanto più compiutamente tradurrà in sé i tratti della Regola; avvicinandosi all’ideale perfetto che il Santo ha voluto tracciare [4].

L’ideale monastico cammina con le gambe dei monaci, sparsi per il mondo a causa di soppressioni, guerre o sommovimenti vari. L’essere sui juris di ogni monastero, l’essere e sentirsi famiglia fa in modo che abati e abbadesse cerchino di radunare e sostenere figli e figlie dispersi e di riunirli appena possibile. Così le persecuzioni divengono semina di nuovi monaci e monache, semina di santi.

In questa è la caparbia, semplice e grandissima fedeltà dei figli di san Benedetto, sempre percossi, talora per propria responsabilità, ma mai vinti.

Afferma m. Cristiana Piccardo nel suo Pedagogia Viva:

Non parlo di eventi, ma di persone perché sono le persone che costruiscono lo spazio storico in cui ci muoviamo punto e non parlo solo di coloro che hanno ricevuto da Dio un ruolo particolare, siano esse state badesse o madri maestre, ma di tutti i membri della nostra comunità che hanno contribuito a costruire le nostre chiese [5]

Dalle semplici converse ai dotti abati, ogni monaco e monaca incarna e vive questo concreto ideale di stabilità interiore ed esteriore, in Cristo e nella Chiesa.

___________

[1] Fornaciari R., “Di fronte alle prime esortazioni della Chiesa a rinnovarci”. L’evoluzione istituzionale del monachesimo italiano dall’Unità ai giorni nostri, in Cristiani d’Italia, 2011.

[2] Schuster I., Regula monasteriorum, pag. 218, a proposito del cap. XXXIV, Se tutti debbano ricevere in eguale misura.

[3] M. Ildegarde Cabitza, San Benedetto, Edizioni Abbazia di Rosano, pag. 255.

[4] M. Cabitza i, op. Cit, pag. 266.

[5] Piccardo M. Cristiana, Pedagogia viva, Nerbini, 2020, pag. 54.

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Pubblicato il Pane e speranza dei monasteri

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