Per dare a Dio “donne di preghiera”, per formare cioè persone in grado di esprimere con la totalità della propria vita l’adorazione a Dio in spirito e verità, quale risposta di amore grato e totale: questo il motivo, dichiarato da lui stesso, che induceva Francesco di Sales, vescovo di Ginevra (1567- 1622) ad aprire ad Annecy (Alta Savoia) – era il 6 giugno 1610 – la prima casa della Visitazione. Dapprima semplice istituzione diocesana, con il breve di Paolo V del 1618 viene eretta in ordine religioso. Da questo momento la Visitazione si diffonde rapidamente oltre il ducato di Savoia, nel regno di Francia e in altri stati europei; nel XIX secolo varca l’Atlantico e oggi la troviamo presente in America, da nord a sud, in Africa, nella regione dei grandi laghi, in Congo e Guinea equatoriale, in Asia con un monastero in Libano e uno in Corea del sud.
L’epoca della fondazione della Visitazione è il ‘600: un’Europa travagliata da guerre continue che ridisegnano ogni volta i confini, mentre vanno precisandosi le diverse identità nazionali. Una Chiesa ormai lacerata dallo scisma, impegnata nell’attuazione delle linee emerse a Trento. Una realtà culturale variegata nel pieno fermento di nuove intuizioni. Il luogo è Annecy: una cittadina nell’Alta Savoia, affacciata sul lago omonimo, racchiusa nella cerchia delle sue mura sotto lo sguardo austero del castello del duca di Nemours, sul confine tra il cattolico ducato di Savoia e i territori di Ginevra, roccaforte ed emblema del calvinismo e il cui vescovo era da anni esiliato ad Annecy. Risalendo le viuzze ombrose e i canali della città vecchia si raggiunge il sobborgo de La Perrière, qui – era il tramonto del 6 giugno 1610, festa della Santissima Trinità – tre giovani donne, scortate da un corteo di nobili e di gente del popolo, giungono alla casa chiamata La Galerie per iniziarvi l’esperienza di vita comune sulla scorta di un abbozzo di Costituzioni redatto da Francesco di Sales. Già la casa è tutto un programma, modestissima, confusa tra le altre del sobborgo, la porta sulla via che immette senza preamboli in una stanza sistemata come cappella cui accedono, dall’interno, le sorelle e, dalla strada, la gente. Le prime a varcare la soglia sono Giovanna Francesca di Chantal, 38 anni, baronessa della Borgogna, vedova e madre di 4 figli, «mente lucida, pronta, decisa, cuore vigoroso, capace di amare e volere con potenza», Jacqueline Favre, 18 anni, spirito aperto e libero, amante della danza e della bellezza, figlia del senatore Antoine Favre, savoiardo doc, umanista coltissimo e uno dei giuristi più celebri del suo tempo, amico intimo di Francesco di Sales, Jeanne Charlotte de Brechard, 30 anni, borgognona, alle spalle una misteriosa storia di umano patire e di splendori soprannaturali, entrata per vie provvidenziali nell’irradiamento spirituale del vescovo di Ginevra. Ad attenderle c’è una donna più attempata, Anne Jacqueline Coste, una semplice donna del popolo che il Signore stesso si è fatto premura di informare di quanto stava realizzando il vescovo e che si è messa a loro disposizione.
Il segreto dell’espansione che la Visitazione conobbe nel XVII e nei primi decenni del XVIII va rinvenuto nella capacità di Francesco di Sales di intercettare i segni dei tempi e le nuove esigenze di spiritualità che andavano emergendo nel popolo di Dio. Nel 1610 egli è da anni padre e maestro spirituale di una grande varietà di persone, di cui ha imparato a discernere gli aneliti più profondi e che guida con impareggiabile sapienza. Francesco è altresì pastore, e di una diocesi tra le più vaste del suo tempo e indubbiamente tra le più difficili, a confronto continuo e diretto con il calvinismo e il proselitismo dei suoi ministri, spesso prepotente, non raramente armato. Da queste sue esperienze vissute con uno sguardo profetico, un cuore docile allo Spirito Santo e abitato dall’amore di Cristo nasce la Visitazione. La sua proposta all’epoca risultava assolutamente innovativa: puntare alle vette più alte dell’amore fino all’unione con Dio percorrendo una via di umile amore, di ascesi interiore, di cordiale carità, amicizia, fraterna lungo lo sgranarsi dei giorni, in semplicità e modestia. Nell’ideare la Visitazione Francesco era mosso anche dalla sua profonda sollecitudine pastorale: rendere questo cammino accessibile al maggior numero di donne, anche a quelle che, pur avendo la sete delle vette dell’unione d’amore con Dio, in quel tempo, a diverso titolo non potevano avere accesso ai monasteri già esistenti oppure, pur sentendosi chiamate a una dedizione esclusiva a Dio, non si riconoscevano più in forme di vita gravate da una infinità di pratiche esteriori, connotate da grandi austerità esterne, ma impoverite quanto a spessore. Il vescovo di Ginevra esiliato, profondamente consapevole che l’unica risposta alla deriva calvinista era la santità vissuta in seno alla Chiesa, ha voluto la Visitazione per servire la Chiesa stessa, non con «opere apostoliche», ma con una «vita apostolica», cioè di Vangelo integralmente vissuto, di testimonianza e di fecondità di bene offerto incondizionatamente a tutti i fratelli. Egli ama descrivere la Visitazione come una realtà in cui tutto è semplice, povero, modesto, aggiungendo però subito: «tranne l’aspirazione di chi vi dimora», una aspirazione di pienezza d’amore che non conosce altro limite se non quello del Cuore stesso di Dio.
Nel diversificato universo religioso del suo tempo Francesco di Sales pensa e propone la Visitazione come «accademia dell’amore», secondo la definizione che ne avrebbe poi dato Henry Brémond, come un luogo cioè dove apprendere, esercitare, comunicare l’arte dell’amore di Dio, quella che sola ci rende pienamente umani. La Visitazione nasce contemplativa e accogliente, nella dichiarata intenzione del fondatore come già nel vissuto delle prime sorelle. Per questo non si può comprendere l’anima profonda della Visitazione se non si penetra nell’universo del Trattato dell’amore di Dio, l’altra opera cui Francesco di Sales sta lavorando in quegli stessi anni. Proprio nelle pagine del Trattato infatti trovano il loro sicuro fondamento teologico e la compiuta espressione le linee di forza che innervano la vita di una Visitazione: orientata al conseguimento del puro amore di Dio, nell’abbandono alla sua benevola volontà, riconosciuta e benedetta nella trama delle umili vicende quotidiane come nelle grandi ore della storia. Così il ritratto più bello di una monaca della Visitazione – meta mai raggiunta ma cui sempre tendere di nuovo – è quello che Francesco tratteggia nel libro X del suo Trattato descrivendo «la sposa» per eccellenza: «colei che ama di più, la più amabile e la più amata, che non soltanto ama Dio sopra tutte le cose e in tutte le cose, ma in tutte le cose ama soltanto Dio […] e siccome è soltanto Dio che essa ama in tutto ciò che ama, essa lo ama ugualmente dovunque […] ama ugualmente il suo re con tutto l’universo o senza tutto l’universo. Non ama nemmeno il paradiso se non perché lì si può amare lo Sposo». È ancora Francesco che traccia la via e indica i mezzi adeguati per giungere a questo. La via è l’imitazione di Gesù, o meglio, il lasciare in sé libero spazio a lui, fino a poter dire con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». I mezzi sono le virtù più care al Salvatore che definì sé stesso «mite e umile di cuore»: l’umiltà dunque verso Dio e la dolcezza verso il prossimo, declinate in tutte le situazioni della vita. L’humus che rende tutto ciò vita, e vita piena, bella, concreta, è la preghiera, realtà che diventa via via omnicomprensiva fino ad avvolgere e penetrare tutta l’esistenza. Preghiera che significa essenzialmente relazione, «amicizia di predilezione», per usare le parole di Francesco, con le persone della Santissima Trinità, e che di tale relazione conosce tutte le sfumature, le delicatezze, le impensabili profondità, gli sconfinati orizzonti. Preghiera che si riversa poi in relazione di accoglienza, servizio, condivisione, amicizia innanzitutto all’interno della comunità e da lì si allarga in cerchi concentrici verso i fratelli.
La Visitazione di Moncalieri è la diretta erede, meglio è la continuazione della Visitazione di Torino.
Scorrendo la corrispondenza di Francesco di Sales veniamo a sapere che fin dal 1617 il Santo, insistentemente richiesto da Maria e da Francesca Caterina, figlie di Vittorio Emanuele I di Savoia, iniziava a pensare alla fondazione di una casa in Torino. Nel 1620 parla di una casa già acquistata per il primo insediamento nella capitale del ducato e di madre Jacqueline Favre come prima superiora. In una lettera del 1621 accenna all’ipotesi che si tratti ormai di attendere solo quattro o cinque mesi perché la fondazione diventi realtà. Complessi motivi politici e diplomatici, la peste e passaggi di armati, altro ancora impedirono a Francesco di vedere realizzato il suo sogno e i 4 mesi diventarono ben 17 anni. È il 14 settembre 1638 quando madre de Chantal con un piccolo gruppo di sorelle della Visitazione di Annecy varca le Alpi; dopo un viaggio avventuroso, arriva a Torino accolta con venerazione da Matilde di Savoia e da Madame Royale, Cristina di Francia (reggente del ducato). Il 21 novembre 1638 con un atto solenne viene stabilita la clausura: la Visitazione di Torino come settantasettesima casa dell’ordine è fondata. Fino all’epoca della rivoluzione la comunità conosce uno sviluppo fiorente ed è centro di irradiazione dello spirito salesiano nella penisola tanto da essere chiamata ‘la piccola Annecy di Italia’, è inoltre sicuro presidio contro il giansenismo. A seguito della rivoluzione e delle ulteriori vicende politiche tra il 1802 e il 1804 il monastero viene espropriato e le monache sono costrette a disperdersi in case private. Subentrata una calma relativa, nel 1824 la comunità può ricomporsi ma non può ritornare al proprio monastero ceduto nel frattempo dal re Carlo Felice ai Padri della Missione. Il re allora concede loro di stabilirsi nel monastero delle clarisse vicino al santuario della Consolata. Nel 1871, in località Pozzo Strada, vengono intrapresi lavori per la costruzione di un nuovo monastero, realizzato secondo il piano tipo dei monasteri visitandini. All’epoca è zona rurale e il monastero stesso è circondato da un vasto terreno agricolo: qui la comunità si trasferisce nel 1904. Superate le vicende belliche delle due guerre mondiali, nel giro di due decenni si presenta la necessità di un nuovo esodo. Lo sviluppo urbano ha inglobato, se non soffocato, il monastero in mezzo ad alti palazzi. Iniziano così nel 1964 i lavori per il nuovo monastero, immenso, sulla collina di Moncalieri, nel 1970 qui si trasferisce la comunità E qui vive tuttora. Una comunità dal carattere internazionale e multiculturale: Italia, Messico e Burundi i paesi rappresentati. Le età coprono un arco che va dai 35 ai 98 anni. Le diversità di provenienza, di età, di cultura, di formazione costituiscono una ricchezza e anche una sfida. La giornata è intensa, suddivisa in tempi di preghiera liturgica, preghiera e lettura spirituale personali, occupazioni per il buon andamento della casa, momenti di studio e di ricreazione e distensione.
Circa 3 anni fa, anche in considerazione della riduzione numerica della comunità, si è scelto di traferirsi in un’ala del monastero, opportunamente sistemata. Nella parte lasciata libera, isolata dalla clausura, intanto sono state sistemate alcune sale al piano terreno dove, nello spirito del nostro carisma, si accolgono gruppi che vengono per incontri o per ritiro. Un gruppo di adulti si ritrova ormai regolarmente ogni mese per approfondire con una sorella la spiritualità di Francesco di Sales, altri gruppi si avvicendano, godendo, nella bella stagione, anche della possibilità offerta dal parco e dal bosco. Ugualmente la comunità offre alle donne anche la possibilità di giornate di ritiro all’interno della clausura.
sr MariaGrazia Franceschini ovsm
dalla Visitazione di Moncalieri
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