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L’oblato e le Benedettine di Bergamo

L’oblato e le Benedettine di Bergamo

Intervista a Madre Cristina

Si potrebbe citare l’espressione vergata dal Sommo Poeta a proposito di un libro galeotto, se non fosse che, in questo caso, non si tratta di nulla di illecito, anzi…

Il libro in questione è L’Oblato di Huysmans, romanzo incentrato sulla figura di un oblato benedettino, che è poi l’autore stesso. Lo comprai tempo fa e mi affascinò soprattutto per l’aspetto liturgico: la descrizione dei Vespri della festa dell’Esaltazione della S. Croce e l’impressione che quel canto antico e sempre nuovo fa nell’anima del protagonista, Durtal, ad esempio, fa gustare il sapore sempiterno dell’Ufficio Divino.

Ma torniamo a noi per scoprire che quest’opera è stata tradotta dalle Monache Benedettine del monastero San Benedetto di Bergamo… ecco perché l’amore per la liturgia risultava così palpabile… chi ha tradotto vive ciò che scrive… e si sente.

Monache traduttrici: la cosa mi muove a prendere contatto con loro. Riesco a parlare con la superiora, madre Cristina che, con grande semplicità e disponibilità, risponde alle mie domande.

– Madre, come nasce l’idea di tradurre quest’opera?

Questo libro, mai tradotto in italiano, ci è stato segnalato dal coordinatore del nostro Gruppo Oblati, Danilo Castiglione, affascinato dal personaggio di Durtal e dallo spaccato del mondo monastico narrato da Huysmans. Si capisce che l’autore ha frequentato una comunità monastica ed è stato capace di penetrare psicologicamente alcuni “tipi” monastici e di descriverli, ovviamente non rinunciando al suo stile “estetico”, ma con simpatia e sagacia. A me personalmente ha colpito molto la parte in cui i monaci, a causa delle leggi anticlericali sono costretti ad abbandonare la loro Abbazia. Questo accadde veramente in Francia nel 1901.

Superato un primo momento di perplessità dovuta alla biografia non proprio ‘angelica’ di Joris-Karl Huysman ci siamo convinte che la conversione dell’autore, il suo farsi oblato benedettino presso l’Abbazia di Ligugé e il contenuto de L’Oblato potessero essere uno stimolo anche per il nostro tempo. Ricordiamo che l’amico Barbey d’Aurevilly a proposito di Controcorrente, precedente opera di Huysmans, ebbe a dire “dopo un simile libro non resta all’autore che la canna di una pistola o gettarsi ai piedi della croce”. Huysmans scrisse anche un romanzo-saggio, L’abisso, sul satanismo.

La mia consorella Sr. M. Benedetta, che conosce il francese – ha fatto l’Erasmus a Parigi durante gli studi di Storia medioevale – si è resa disponibile a tentare l’avventura di tradurre il volume, con la preziosa collaborazione di un caro amico oblato benedettino secolare di Torino, Pierluigi Zoccatelli. Ricordo pomeriggi assolati d’estate, mentre io, ancora libera da impegni istituzionali, lavoravo alle mie miniature e ascoltavo Sr. Benedetta leggere i brani tradotti per sentire se “scorrevano”. Danilo si è poi impegnato a cercare la casa editrice ed abbiamo organizzato la serata di presentazione nella nostra chiesa.

– L’oblato è stato definito un ‘romanzo liturgico’. Ci può dire qualcosa su questo aspetto?

La Liturgia nel libro L’Oblato è l’atmosfera stessa, l’aria che si respira, ciò che cadenza i tempi e lo scorrere dei giorni. Quanto avviene in monastero, dove tutta la vita è ritmata dalle Ore liturgiche della preghiera, dai tempi liturgici che si susseguono, si dilata al di fuori delle mura e diventa il tempo stesso dei vari protagonisti che ruotano intorno all’Abbazia della Val des Saints, in Borgogna vicino a Digione dove è ambientato il romanzo. Mi piace riportare la simpatica descrizione che Durtal il protagonista principale fa della Signorina de Garambois che non potendo per salute coronare la sua vocazione benedettina, si era fatta Oblata: “[…] tra le zitelle la creatura più caritatevole e indulgente. Conserva un’anima del tutto giovane, un’anima bianchissima, da bambina in un corpo da signora un po’ matura. Si ride un po’ di lei al villaggio e all’abbazia a causa della mania di portare sugli abiti che indossa i colori liturgici del giorno. È l’incarnazione dell’Ordo, un calendario che cammina, è il gagliardetto del reggimento. Si sa che si va a celebrare la festa di un martire se si pavoneggia con un cappello rosso, o quella di un confessore quando inalbera il nastro bianco. Sfortunatamente il numero dei colori liturgici è limitato e le dispiace che la critichino; ma tutti sono d’accordo nell’ammirare il suo candore e il suo infaticabile buon cuore. Appena la vedrà non farà fatica a riconoscere le sue ardenti passioni: l’alta cucina e l’Ufficiatura; lei ama alla follia i fasti liturgici e le pietanze raffinate; su queste due materie, istruirebbe i più eruditi tra gli chefs e i più studiosi tra i monaci”.

– La traduzione di testi rientra tra le attività del monastero?

Sr. M. Benedetta è l’unica sorella che sa parlare una lingua straniera, ed è disponibile a tradurre in particolare conferenze o meditazioni dal francese all’italiano e viceversa. Solo con lei è iniziato questo nuovo tipo di attività anche se, visto che gli impegni in Comunità sono molti, ci può dedicare ormai poco tempo. Segnaliamo però che nel 1950 le nostre Sorelle avevano curato la traduzione dal francese del Commentario alla Regola di San Benedetto del Delatte.

– Come s’inserisce nella vostra vita monastica benedettina?

Ovviamente la traduzione riguarda testi di spiritualità, monastici, comunque religiosi. Certo è anche una piccola fonte d’introito, ma soprattutto è un modo per vivere quel Lege che San Benedetto aveva prescritto di inserire tra l’Ora e il Labora, l’attività di studio, lettura, accrescimento della propria cultura non fine a sé stesso, ma come aiuto per cercare meglio Dio.

– Il vostro monastero ha oblati. In cosa consiste la loro oblazione e come la vivono?

Abbiamo un gruppo di una quindicina di membri uomini e donne, alcuni coniugi. Ci ha stupito vedere come, ultimamente, alcuni giovani si siano avvicinati a questo cammino. Uno è ora novizio a Camaldoli. Essere oblato significa legarsi a una particolare Comunità monastica, vivendo nel quotidiano lo spirito benedettino, approfondendo il significato del proprio battesimo e coltivando la propria vita di fede con la preghiera in particolare la Liturgia delle Ore, la “lectio divina”, svolgendo le proprie incombenze il più possibile alla presenza di Dio.

Una volta al mese circa si ritrovano per un incontro formativo e preziosa è la loro presenza alla nostra Eucaristia domenicale e nelle Solennità dove prestano servizio liturgico. Alcuni sono veramente disponibili, nello spirito di oblazione, per incombenze pratiche della Comunità monastica: ad esempio ci accompagnano alle visite mediche, fanno acquisti, ecc.

– Come vede il presente e il futuro della vita monastica benedettina, sia femminile che maschile, in Italia?

Non vorrei mancare di speranza, il Signore è Lui che tiene in mano la storia, anche quella degli Ordini monastici. La crisi vocazionale è palpabile come, del resto, in tutta la Chiesa A mio avviso il panorama italiano ora manca di vere personalità, a parte alcune figure la cui opera è però poco conosciuta nella Chiesa. C’è stata Madre Anna Maria Canopi, ma anche Madre Cristiana Piccardo per il monachesimo femminile, per quello maschile vi sono alcuni studiosi, ma una vera figura carismatica non mi pare di ravvisarla. Forse questo periodo di crisi di tutti i valori, di certezze, questo momento così oscuro della storia, dove la barbarie pare avere il sopravvento, spingerà nuovamente un giovane a ritirarsi in una grotta, a maturare lottando contro il demonio e se stesso, per poi uscire e rinnovare nel nome del Signore la Chiesa e la società.

 

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