In un’epoca in cui tanto si parla e si pubblica su abusi di autorità, celebriamo la semplice e serena figura di madre Rosaria Saccol, badessa del monastero Cistercense di san Giacomo di Veglia, che per 51 anni ha svolto il suo servizio autorevole in questa comunità ed è tornata al Signore il 26 novembre. Chiunque l’abbia conosciuta non può non ricordarla come l’esempio della vera autorità: madre e padre, serva e maestra, umile e forte e soprattutto alacre, instancabile; per questo ha accolto tante vocazioni e fatto vivere una bella comunità, aiutandola a traghettare questi tempi difficili con la sua assoluta semplicità. Madre Rosaria superava ogni problema con l’umiltà di chi spera tutto dal Signore ma nel frattempo non sta con le mani in mano, dona tutto quello che ha.
E perché no? dalle sue mani e attorno a lei fiorivano anche i miracoli. Ma sì, ci piace dirlo, in questa epoca in cui credere che Dio possa permettersi di superare le leggi naturali è considerato una mostruosità, quasi una bestemmia.
Grazie, madre, per averci testimoniato la bellezza di questa maternità verginale, instancabile, innamorata.
Esequie di Madre Maria Rosaria Saccol O. Cist.
Abbadessa emerita del Monastero dei Santi Gervasio e Protasio San Giacomo di Veglia, 27 novembre 2021
Letture: Romani 8,31-35.37-39; Salmo 22; Giovanni 19,17…37
Come potremmo congedarci dalla cara Madre Maria Rosaria senza pensare alla caratteristica più importante e costante della sua vita di monaca e di abbadessa: la sua unione a Gesù, il suo legame familiare con Lui, la sua appartenenza al Signore, suo Sposo amato, di cui è sempre rimasta innamorata, fino alla fine. Madre Rosaria ha perso le forze del corpo e, negli ultimi anni, un po’ anche la prontezza della mente, la memoria delle cose umane, ma nulla di questo definiva la sua persona più dell’attaccamento amoroso a Gesù, e questo è un nucleo di vita, di giovinezza, di memoria e di intelligenza che vince ogni umano decadimento. È come una fiamma che rimane accesa anche, e forse ancor più, mentre consuma le ultime sostanze terrene di una persona, tanto che, quando giunge la morte, ci si rende subito conto che questa persona era già più viva nell’eternità che nel tempo. Il tempo si è esaurito, consumato dall’amore; rimane in eterno la fiamma che ad esso si è alimentata: l’amore che unisce al Risorto, che ci lega ad una Vita che ha già vinto la morte.
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Certo, come dice san Paolo, “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcuna altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39). Ma nello stesso tempo niente ci unisce alla morte e alla vita, al presente e al futuro, ad ogni persona e creatura come l’amore di Dio in Cristo Gesù. Gesù, misteriosamente, ci separa da tutto e ci unisce a tutto.
In fondo, è questa la grande e profonda testimonianza che la vita monastica dovrebbe offrire a tutto il Popolo di Dio, ed è questa la testimonianza che ci ha umilmente e costantemente donato Madre Rosaria: un amore di Gesù che rende liberi da tutti e da tutto, nella casta verginità della consacrazione a Lui, nel silenzio e nella povertà, nell’ascolto obbediente di ogni sua parola, di ogni suo suggerimento,
sempre accolto dalla Chiesa nella docilità allo Spirito, e nello stesso tempo un amore di Gesù che lega a tutti, alle gioie e ai dolori di ogni anima, come le tante che per decenni hanno trovato in Madre Rosaria un ascolto profondo, una parola sapiente di conforto e un’intercessione instancabile.
L’amore di Cristo, da cui nulla ci può separare, se non la nostra libertà di rifiutarlo, ha infatti la forma della Croce: unisce a Dio e abbraccia l’umanità. La maturità nell’amore di Gesù, dell’attaccamento a Lui, è proprio un tenersi, come Maria presso la Croce, nel punto di intersezione fra queste due dimensioni dell’unico e totale amore di Cristo. Quel punto di intersezione che è il Cuore stesso del Signore, quel Cuore trafitto sulla Croce e che vive in eterno intercedendo per noi presso il Padre. Madre Rosaria ha vissuto lì la sua stabilità di monaca e di madre – il suo Stabat Mater – conformandosi a Maria Santissima, Serva del Signore e Madre dell’umanità.
In questo, Madre Rosaria ha veramente incarnato davanti a noi l’immagine dell’abate che san Benedetto descrive nella sua Regola, che è un’immagine di servizio e di paternità o maternità. L’“essere per gli altri” in Cristo, che san Benedetto chiede ai superiori dei monasteri con un gioco latino di parole – “magis prodesse quam praeesse – giovare più che primeggiare” (RB 64,8) –, è la posizione veramente autorevole, è la natura veramente cristiana dell’autorità, che abbiamo sempre bisogno di recuperare convertendoci dalla nostra tendenza orgogliosa a dominare e primeggiare. Perché Gesù è il buon Pastore che dà la vita, è il buon Pastore fino alla fine, fino alla morte in Croce, dalla quale ancora si occupa delle sue pecore, creando comunione fra la Madre e Giovanni, fra le donne e gli apostoli, o assolvendo da ogni peccato il ladrone che si confessa e affida a Lui.
Ripenso sempre al giorno in cui ho suggerito a Madre Rosaria che sarebbe stato opportuno, dopo 51 anni di servizio, rinunciare alla sua carica abbaziale. Non passarono neppure tre secondi fra il mio consiglio e il suo deciso consentimento, affrettato di obbedire: “Ma certamente, Padre, mi dica subito cosa devo fare!”, e scrisse immediatamente la sua rinuncia sul primo foglio che ci capitò fra mano.
Quando si vive così l’autorità, si rimane sempre autorevoli, pur senza cariche. L’autorità materna di Madre Rosaria si è espressa fino alla fine, anche insegnandoci come diminuire di forze e salute, anche insegnandoci come soffrire e morire, insegnandoci soprattutto e attraverso tutto come offrire.
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L’offerta di Gesù dà perfezione alla nostra misera offerta; il suo amore infinito purifica e rende perfetto il nostro misero amore. Perché il compimento di tutto, anche della nostra vita, è l’alleanza con Dio, una comunione che, quando è compiuta, è sempre perfetta, anche se Gesù deve scendere fino agli inferi per stringerla con noi.
Accogliere questa grazia, accogliere la Salvezza come grazia, come dono gratuito, è in fondo tutta l’umiltà che ci è chiesta, quella che la Madonna ha vissuto perfettamente e che Madre Rosaria ha espresso con fiducia.
E il frutto dell’umile offerta è la letizia e la pace, che irradiavano sempre dalla nostra cara Madre, quella felicità che ancora il Salmo 22 ci descrive e promette, ora e per tutta l’eternità, nella Casa del Padre:
“Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.” (Sal 22,6)Così sia per lei, carissima Madre Rosaria, e per tutti noi che già ci affidiamo alla sua intercessione!
Fr. Mauro-Giuseppe Lepori Abate Generale OCist