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Pietre che pregano

di Rita Bettaglio

Qualche anno fa, nel 2018 con esattezza, una comunità domenicana francese, la Fraternité Saint-Vincent-Ferrier (https://www.chemere.org), alle prese con la costruzione della chiesa conventuale, lanciò l’iniziativa Des pierres qui prêchent, le pietre che pregano, per raccogliere i fondi necessari al cantiere. Essa ebbe successo e consentì ai frati di completare il cantiere e dare alla comunità una bella chiesa.

Il nome dato dai padri all’iniziativa è assai evocativo: pietre che pregano, nel duplice significato di pietre con cui la chiesa è costruita e di pietre vive, che sono i frati e tutte le persone che con loro pregano e pregheranno in quel luogo sacro.

La preghiera infatti, quando viene generata in noi dallo Spirito Santo, si libra verso il cielo e perde la sua connotazione temporale. Quando raggiunge Dio si unisce al coro della Gerusalemme Celeste e alle preghiere che in tutti i tempi gli uomini hanno elevato al Signore e alle lodi delle schiere angeliche. La preghiera quindi è qualcosa che non ha fine e, una volta spiccata, non muore.

Abbiamo mai pensato che noi godiamo dei benefici delle preghiere elevate al cielo da persone che non conosciamo e che sono vissute molto tempo fa? Noi, certo, viviamo e respiriamo perché prendiamo parte ai meriti infiniti di Nostro Signore Gesù Cristo: senza di Lui non possiamo far nulla, come dice il Santo Vangelo. Ma anche le preci, le lodi, le espiazioni di schiere di anime in tutti i tempi, prima fra tutte Maria Santissima, ci sostengono nel cammino in questa valle di fatica e dolore.

Le pietre con cui il monastero è costruito sono benedette: ogni locale del monastero è partecipe di questa benedizione e la Gloria di Dio, che abita realmente nel Tabernacolo, illumina coi suoi raggi soprannaturali tutto il complesso monastico. La consacrazione della chiesa rende il luogo santo, tanto che non può essere utilizzato per usi profani, a meno, dice la parola stessa, di ‘profanarlo’. E la profanazione è un peccato grave.

Tanti monasteri oggi sono abbandonati o adibiti ad altri usi che nulla hanno a che fare con la preghiera. Le pietre viventi, che li abitavano e che sette volte al giorno lodavano Dio col canto del divino ufficio, non ci sono più, ma le pietre materiali restano impregnate di preghiera. Talora, visitando un monastero disabitato, le persone più sensibili avvertono che è luogo di preghiera ed odono, quasi fisicamente, l’eco delle antiche preghiere, il salmodiare umile e continuo dei monaci, il canto gregoriano che impregna le pareti e si fonde alla malta che unisce tra loro le pietre.

Il fascino del monastero, cui nessuno può sfuggire è proprio dovuto a questa presenza, anche se i più ne sono inconsapevoli, ma tuttavia l’avvertono in fondo all’anima.

Quia domus mea domus orationis est (Lc 19,46): perché la mia casa è casa di preghiera, dice il Signore.

Pubblicato il Cronache, Monasteri, Perché vivono i monasteri

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