L’interpretazione patristico-monastica della Sacra Scrittura
come chiave per la riforma della Chiesa e del monachesimo
di Suor Veronica Pellegatta, monaca cistercense OCSO
San Bernardo, come il pio israelita prima e come l’apostolo di Cristo poi, ha una grande chiarezza: se Dio ha parlato all’uomo, la Sua è l’unica Parola che vale la pena ascoltare, studiare, meditare, indagare, spendendo per essa il tempo e le energie. Entrando in monastero si scopre la Casa della Parola, il luogo dove ogni cosa ha un senso perché letta nel Disegno di Dio svelato all’uomo, celebrato nella Liturgia, meditato nella lectio, messo al centro della vita comune grazie al compito di interpretazione dato all’Abate/Badessa come rappresentante dell’autorità nella Chiesa. Questo è ciò che ha voluto istituire San Benedetto con la sua Regola: una Scuola del servizio divino, cioè un luogo dove si impara a servire Dio imparando ad ascoltarlo per conoscere qual è il Suo Disegno. Senza una scuola noi continuiamo ad affrontare la realtà coi criteri assunti nell’ambiente in cui siamo cresciuti e così non riusciamo a partecipare veramente alla Sua Opera. Questo è il senso di tutte le osservanze nel monastero: educarsi a percepire/contemplare il Disegno di Dio, entrarvi liberamente come figli che collaborano col Padre, come ha fatto Cristo con totale lucidità. Così nella Regola di San Benedetto la prima parola è “Ascolta” (il primo comandamento dato a Israele: Shemà!); il primo gradino dell’umiltà è evitare la distrazione e stare su quella Parola; l’invito di ogni Quaresima è quello di prendere dalla biblioteca “un libro” e leggerlo per intero, un libro cioè della Scrittura; l’impegno di tutte le notti imparare a memoria il Salterio, ecc… In sostanza nel monastero si vive la conversatio, cioè la conversazione continua con Cristo: da Lui attingiamo la Sapienza, con Lui paragoniamo ogni pensiero e moto del cuore, su di Lui spezziamo ogni ispirazione cattiva, mediante la partecipazione attenta alla vita liturgica e la direzione spirituale che la Madre e la Comunità ci offrono.
La prima certezza su cui si fonda tutto questo in san Bernardo è che la Scrittura è la Parola di Dio rivolta a noi e il vero grande peccato dell’uomo è il non ascolto, fin da Adamo ed Eva, cioè l’ascoltare altre parole. Questa è la motivazione del mandare a memoria tutta la Scrittura: avere nella memoria una parola è l’unico modo per poter vivere un paragone continuo, perché noi riflettiamo su ciò che conserviamo nella memoria. E che Bernardo sapesse la Scrittura a memoria è evidente dai suoi scritti. Chi li ha studiati approfonditamente dice che lui cita la Scrittura praticamente sempre a memoria. Qui già si percepisce il primato che dà a Cristo: la parola vera è la SUA!!
Insieme a questa certezza, che è l’Ispirazione, va la seconda, che riguarda l’Interpretazione: solo Cristo è l’interprete accreditato dal Padre, il cui Spirito ha prodotto le Sacre Scritture e continua a illuminare il popolo fedele che le accosta con amore. Solo nello Spirito che le ha ispirate possono essere lette e questo Spirito è donato alla Chiesa, non al singolo. Chi appartiene a Cristo ha il Suo Spirito: Bernardo impara tutto da san Paolo (come tutti i Padri, lo chiama “l’Apostolo”) e la certezza dell’appartenenza al Corpo di Cristo gli permette di muoversi nella Scrittura con libertà straordinaria e con maestria da giocoliere, come un figlio che usa liberamente delle Cose di Suo Padre. Leggendolo si potrebbe concludere: “Interpreta a modo suo; gli fa dire quello che vuole; quale Magistero segue Bernardo?…” Tuttavia non si tratta banalmente di questo. Si tratta della radicalità dell’appartenenza alla Chiesa nella partecipazione alla vita sacramentale in una Comunità riunita dalla comune vocazione. È questo l’insegnamento che anche Bernardo coglie dalla Vita di san Benedetto scritta da san Gregorio Magno: Benedetto è abitato dallo Spirito di Cristo, che ha abitato il cuore di tutti i Giusti, e la possibilità di partecipare a questa inabitazione l’ha consegnato alla sua Regola, cioè all’ordinamento di una Comunione che vive di Cristo e della Sua Parola. Gli Abati dopo di lui non avranno la sua personalità e il suo genio (Bernardo li aveva!), ma parteciperanno comunque dello stesso Spirito a motivo dell’adesione fedele al compito che hanno ricevuto. Nelle Comunità hanno l’incarico di guidare le anime e di insegnare la Sapienza divina, cioè di offrire l’interpretazione autentica della Scrittura nel solco della Tradizione, come Parola vivificata dallo Spirito che è donato alla Comunità che celebra, riunita, la Liturgia della Chiesa. Tutto questo non dobbiamo perderlo.
L’altra incrollabile certezza di Bernardo è l’unità della Scrittura. Ma questo è semplicemente ciò che la Chiesa di sempre ha imparato dai Vangeli e dagli scritti apostolici. È Gesù stesso a dire che tutta la Scrittura (AT) parla di Lui e spiega agli apostoli ciò che a Lui si riferisce e in Lui si deve compiere della Legge di Mosè, dei Profeti e dei Salmi. Questa certezza rende gli Apostoli capaci di rileggere tutti gli avvenimenti della Pasqua e della vita con Gesù alla luce della storia di Israele (vedi il discorso di Stefano negli Atti, i discorsi di Pietro dopo la Pentecoste e tutto l’insegnamento di Paolo, in particolare in Romani ed Ebrei). Questa stessa chiarezza è attinta nella Liturgia. Così facendo tutto l’Antico si riempie della luce di Cristo e ci si lancia nell’avventura appassionante della scoperta di come Cristo compie e insieme supera l’Antico Testamento. Così mettendo insieme la lettera (il senso letterale) e l’interpretazione, una luce si accende sull’Antico Testamento che, lungi dal renderlo superato, lo impreziosisce al massimo e lo arricchisce di una quantità di significati inimmaginabili prima. In realtà anche questa modalità la Chiesa l’ha imparata dalla Scrittura stessa e oggi, grazie ai metodi critici di revisione dei testi, possiamo coglierla ancora meglio. È ciò che viene chiamato il fenomeno delle riletture nell’Antico Testamento.
Su tutto questo si basano i Sermoni liturgici di Bernardo nella loro struttura complessiva ma anche l’uso che egli fa di singoli versetti che paiono completamente estrapolati dal loro contesto. Verrebbe da dire: “Ne fa una strumentalizzazione!” E di conseguenza: “Se lo fa lui lo posso fare anche io!” Su questo va posta un’attenzione particolare. Non è solo che nel Medio Evo c’era un senso dell’autorità che il 1968 ha mandato del tutto al macero, per cui oggi ognuno può prendersi a piacere un versetto della Bibbia e interpretarlo come gli pare mentre prima si pendeva come bambini dalle labbra delle auctoritates. Perché quello di oggi dovrebbe essere considerato relativismo mentre la modalità di Bernardo fede? Io risponderei: per la chiarezza della dottrina antropologica ed ecclesiologica che egli aveva e che oggi non è più chiara. Cioè per la lucidità della coscienza della verità di sé e per la solidità dell’appartenenza alla Chiesa nella fedeltà alla forma concreta della vocazione assegnata da Dio. È chiaro che Bernardo non ha la minima idea della teoria delle fonti, dell’ipotesi documentaria, dello studio critico delle forme o della redazione del testo, ecc… Ma ha estremamente chiaro che lo Spirito di Cristo è donato agli umili che vivono con fede piena nel Sacramento del Suo Corpo.
Dell’unità della Scrittura la Tradizione ci consegna l’ordine, che negli scritti di Bernardo è chiarissimo: il Nuovo Testamento come interpretazione dell’Antico; gli scritti apostolici come interpretazione dei Vangeli; tra essi le Lettere di San Paolo come esposizione del Disegno complessivo. In particolare la Lettera ai Romani espone la storia della salvezza che parte dall’elezione di Israele per spiegare che tutti coloro che credono in Cristo sono innestati in questa stessa elezione per partecipare all’opera della Redenzione di tutto il creato. Mentre il culmine si trova nella lettera agli Ebrei e nell’Apocalisse di san Giovanni che insieme disvelano l’opera che Cristo Redentore, Sommo Sacerdote e Sposo dell’umanità, compie in cielo, così che tutti i credenti possano parteciparvi e collaborare.
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