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La testimonianza più vera

di Rita Bettaglio

 

Spesso le piccole cose parlano all’animo dell’uomo con incisività più profonda delle cose rilevanti… così le monache benedettine di S. Maria di Rosano presentano la raccolta di brevi interventi di M. Ildegarde Cabitza, pubblicati a suo tempo nella loro rivista mensile Beata Pacis Visio, e riproposti a noi.

Il testo che segue ci conduce a riflettere sul senso, sul significato della vita monastica nella Chiesa e nella società d’oggi. Scritto nel 1956, nella piena maturità umana e spirituale della badessa di Rosano, ha molto da dire anche a noi, in un’epoca in cui davvero pochi, anche ad intra, paiono memori e coscienti della funzione ineludibile e fondante della vita monastica per il corpo mistico di Cristo, che è la Santa Chiesa.

Madre Ildegarde Cabitza (1905-1959), grande figura del mondo benedettino femminile italiano, aveva un sogno che, coll’aiuto di Dio e la perseveranza nel servizio di madre e maestra nel monastero di Rosano, perseguì e che oggi lascia alle sue figlie e a tutti noi.

“Abbiamo avuto un sogno grande: quello di ricondurre la vita religiosa femminile a tutta la sua altezza, di fare che i monasteri, oggi così spesso immiseriti e ridotti da far pietà, tornassero ad essere fari di santità e di civiltà così come erano nei tempi antichi, quando hanno saputo dare alla Chiesa e al mondo le donne più grandi”.

M. Ildegarde morì a Rosano in odore di santità il 28 agosto 1959, all’età di 54 anni.

 

LA TESTIMONIANZA PIÙ VERA

di M. Ildegarde Cabitza O.S.B.

C’è una funzione della vita monastica, in seno alla società, che in genere sfugge agli osservatori superficiali.

A chi ci domanda – e il caso non è raro – “Cosa fate, voi, chiuse nei vostri monasteri, per cooperare all’affermazione e all’estensione del regno di Cristo?”, siamo solite rispondere che al mondo diamo la nostra preghiera e il nostro sacrificio, per creare un segreto e pur reale compenso alle paurose deficienze spirituali che scavano un abisso sempre più profondo tra l’uomo e Dio.
La risposta è vera, ma non è completa. Preghiera e penitenza sono gli elementi più facilmente percepiti e più facili a comprendere dagli estranei, ma dovremmo dire con umile e ardente fierezza: “Noi siamo qui per pregare in nome dei fratelli e per offrirci ogni giorno in unione al sacrificio del Cristo, certo, ma anche per dare testimonianza vivente al Cristo, alla sua dottrina di verità”.
Ogni monastero deve essere “in signum”: il tipo ideale della perfetta società cristiana, dove i valori dello spirito hanno la precedenza assoluta su qualunque interesse umano, dove legge suprema è la carità, dove i singoli membri hanno, una volta e per sempre, creduto all’Amore, e hanno insieme, con una fede senza riserve, accettato il rischio di vivere in pieno la parola evangelica, rinunziando ai canoni della “sapienza della carne”.

A chi, anche fra i credenti, anche fra i più sinceri praticanti, il Vangelo appare nella sua pratica integrale, utopia, e le sue esigenze inconciliabili con le nostre possibilità umane, noi testimoniamo, vivendo, che nessuna dottrina potrà, mai, più perfettamente aderire al bisogno più profondo dello spirito, della stessa convivenza umana.

Il mondo si dilania nello sforzo convulso di trovare un sano equilibrio economico, in un’equa distribuzione dei beni terreni. La sapienza di Benedetto ha per noi reso la via semplice e piana; “Si dia a ciascuno secondo il bisogno” (RB 34,1) e il comune impegno di laboriosità, ordinata e serena, viene a congiungersi con l’opera della Provvidenza che veglia affinché come agli uccelli dell’aria e ai gigli del campo, non manchi nemmeno a noi quanto sia necessario per il vitto e il vestito. Già godiamo, in atto, la beatitudine dei poveri di spirito.

Così per la purezza, così per la mortificazione, così per tutti gli aspetti della vita, vissuti nella piena luce del Vangelo.

C’è una parola grande e consolatrice, nella Sacra Scrittura: “Fidelis Dominus”, il Signore è fedele e non delude chi, credendo in Lui, si affida al suo insegnamento.
Fra le mura di ogni monastero è racchiuso il massimo di felicità che la terra può dare all’uomo, in proporzione dell’intensità dell’amore che opera nelle singole anime e della generosità con la quale si vive la parola di Dio: l’irraggiamento di gioia, di beatitudine che traspare anche al difuori, è la nostra testimonianza più vera.

La tradizione ascetica più antica ha con predilezione insistito nel paragonare la vita monastica al martirio, distinguendo il martirio rosso dal martirio bianco; e questo non sotto l’aspetto della sofferenza e del tormento, ma essenzialmente sotto l’aspetto della testimonianza, perché il martire è un “testimone” e testimone è tanto colui che con un atto solo accetta la morte per affermare la sua fede in Cristo, quanto colui che questa affermazione vive ora per ora, traducendo in sé, nella sua interezza e nel suo splendore, l’insegnamento del Maestro.

Popolato di creature fragili come tutte, frementi delle stesse passioni che turbano il mondo, il monastero sta, cittadella di Dio, a testimoniare la vittoria dello spirito sulla carne, e germoglia, fiore magnifico che si apre nella solitudine a lode della divina gloria.

Beata Pacis Visio, febbraio 1956.

Gli scritti di M. Cabitza possono essere richiesti al Monastero S. Maria di Rosano, Borgo del Monastero, 13, 50067 Rignano sull’Arno (FI) (Tel: 055 830 3006)

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Pubblicato il Testimonianze

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