Mons. Massimo Camisasca, nato a Milano nel 1946, laureato in filosofia e licenziato in teologia, è stato ordinato sacerdote nel 1975. Ha incontrato e seguito don Luigi Giussani fin dall’adolescenza. È stato insegnante di filosofia nei licei e all’università. Nel 1985 ha fondato la Fraternità dei Missionari di san Carlo, i cui membri vivono in case di missione sparse in tutto il mondo. Dal 2012 al 2022 è stato vescovo di Reggio Emilia – Guastalla. È autore di una settantina di volumi, tradotti in varie lingue.
È uno dei pastori della Chiesa più sensibili al carisma monastico.
Gli abbiamo chiesto una parola…
di Mons. Massimo Camisasca
Sono profondamente convinto che la Vita Monastica custodisca il cuore della realtà della Chiesa. Per questa ragione i monasteri – nel bene e nel male – rivelano la «temperatura» della coscienza ecclesiale e la strada per una rinascita.
Innanzitutto, il silenzio. Non si tratta di qualcosa di marginale per la vita del cristiano, anzi per la vita dell’uomo. Siamo assediati da parole e immagini che ci estraniano da noi stessi, che ci portano a vivere fuori dal nostro centro personale. Il silenzio non è l’assenza di parole o di colori, piuttosto consiste nella ricerca delle parole che restano, che riempiono il cuore, che indicano la strada, che non ci deprimono e non ci tradiscono. Ma per questo occorre prendere le distanze dalle parole che ingannano.
La preghiera. Anche qui non si tratta di una pratica di pietà riservata alle persone più devote. Pregare significa aprire le finestre della vita desiderando uno sguardo capace di vedere più in là. Un vedere che diventa domanda, dialogo, supplica. Un dialogo che rinnova come un sangue nuovo i tessuti del nostro essere.
Lavoro. È la parola decisiva dei nostri anni molti lo stanno perdendo a causa del rinnovamento tecnologico, molti perciò lo stanno cercando, taluni con disperazione. Il lavoro è l’espressione necessaria del nostro io creativo. Ma quando l’io è perduto, quale lavoro lo potrà esprimere? Quando l’io è ritrovato ogni lavoro può partecipare alla costruzione comune.
La Vita comune. Siamo nati per la vita comune perché siamo nati dalla vita comune, dalla comunione. Eppure ci stanno riducendo ad atomi perduti nell’infinto senza rapporto fra di loro. La vita comune è la strada originaria, lenta, dolorosa, esaltante per la nostra realizzazione.
Accoglienza. Quando si scopre la vita comune si desidera che altri ne entrino a far parte. Sono le persone che vengono nei nostri parlatori, come si va a una fonte. Quale acqua abbiamo da offrire loro? Quale cibo?
Silenzio, preghiera, lavoro, vita comune, accoglienza: i passi per una riscoperta dell’umano, della vita monastica, della Chiesa.
Views: 72